Nido VS Scuola Infanzia. Dove investire di più?

  È stato pubblicato in questi giorni il rapporto ISTAT “Asili nido e altri servizi socio educativi per la prima infanzia”, riferito all’anno scolastico 2016/2017.

I dati Istat non corrispondono mai esattamente a quelli che vengono rilevati periodicamente dal Dipartimento per le politiche della famiglia, con il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e adolescenza  e con l’Istituto degli Innocenti, ma per il 2016/17 si tratta di dati che si assomigliano molto, anche se le due indagini sono state effettuate a distanza, una dall’altra, di un anno. Ciò conferisce, se necessario, maggiore autorevolezza a tale rilevazione.

Per ISTAT siamo al 24% di copertura dell’utenza, con 354.000 posti tra nidi e servizi integrativi; il 52% sono pubblici, il 48% privati. Non sono conteggiati i bambini anticipatari nelle scuole dell’infanzia.

Per il Dipartimento per le politiche della famiglia (che fanno riferimento, oltre all’Istat, anche ad altre fonti informative tra loro integrate) la stima è del 23,9 % di copertura, con 346.649 posti tra nidi e servizi integrativi (non come per l’Istat 354.000 posti). Anche in questo caso non sono conteggiati i bambini anticipatari nelle scuole dell’infanzia.

La differenza non è significativa e dipende probabilmente dal fatto che la rilevazione dell’Istat è stata realizzata nei mesi scorsi con dati consolidati, mentre l’altra oltre un anno fa con dati ancora provvisori.

Vediamo, più nel dettaglio, i dati forniti dalle due indagini:

A) Rilevazione ISTAT anno scolastico 2016-2017 (pubblicata il 21 marzo 2019)

Nell’anno scolastico 2016/17 sono stati censiti sul territorio nazionale 13.147 servizi socio-educativi per l’infanzia. I posti autorizzati al funzionamento sono circa 354.000, pubblici in poco più della metà dei casi (52% pubblici, 48% privati).

I posti disponibili coprono il 24% del potenziale bacino di utenza (bambini residenti sotto i 3 anni).

B) DATI al 31.12.2016 del Dipartimento per le politiche della famiglia – Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e adolescenza – Istituto degli Innocenti (pubblicati il 21 marzo 2018)

I dati rilevati dal Dipartimento e Istituto Innocenti che seguono derivano dall’utilizzo delle seguenti fonti informative (più complete rispetto a quelle Istat):

• la raccolta integrata dei dati messi a disposizione dalle Regioni e Province autonome

• l’indagine Istat su Asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia: censimento delle unità di offerta e spesa dei comuni

• i dati riconducibili alla “anagrafica generale dei servizi educativi per la prima infanzia” elaborata dall’Istituto degli Innocenti e in varie riprese aggiornata sulla base delle diverse possibili fonti informative disponibili.

 

Tavola 1. Tasso di copertura dei nidi e dei servizi integrativi su popolazione di 0-2 anni al 31/12/2016  (Fonte: elaborazione IDI per Monitoraggio Piano Nidi al 31-12- 2016) Dipartimento per le politiche della famiglia – Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e adolescenza – Istituto degli Innocenti

PERCENTUALI DI COPERTURA (SOLO SERVIZIO NIDO)
Piemonte 24,8%
Valle d’ Aosta 29,2%
Lombardia 23,4%
Liguria 28,7%
Italia Nord- occidentale 24,2%
Provincia di Bolzano 17,0%
Provincia di Trento 26,7%
Veneto 22,6%
Friuli-Venezia Giulia 27,4%
Emilia-Romagna 36,1%
Italia Nord- orientale 28,1%
Toscana 32,4%
Umbria 35,7%
Marche 25,6%
Lazio 29,4%
Italia centrale 30,2%
Abruzzo 19,4%
Molise 15,1%
Campania 4,0%
Puglia 15,6%
Basilicata 13,9%
Calabria 10,5%
Sicilia 11,5%
Sardegna 23,3%
Italia meridionale e insulare 11,2%
TOTALE ITALIA (SOLO NIDO) 21,6%

PERCENTUALI DI COPERTURA (SOLO SERVIZI INTEGRATIVI)
Piemonte 4,5%
Valle d’ Aosta 14,4%
Lombardia 1,5%
Liguria 2,2%
Italia Nord- occidentale 2,4%
Provincia di Bolzano 10,5%
Provincia di Trento 3,7%
Veneto 1,8%
Friuli-Venezia Giulia 4,1%
Emilia-Romagna 2,8%
Italia Nord- orientale 3,0%
Toscana 3,2%
Umbria 8,7%
Marche 2,4%
Lazio 0,9%
Italia centrale 2,3%
Abruzzo 1,7%
Molise 0,2%
Campania 2,5%
Puglia 2,6%
Basilicata –
Calabria 0,6%
Sicilia 0,5%
Sardegna 1,7%
Italia meridionale e insulare 1,6%
TOTALE ITALIA (SOLO SERVIZI INTEGRATIVI) 2,2%

PERCENTUALI DI COPERTURA (NIDO + SERVIZI INTEGRATIVI)
Piemonte 29,4%
Valle d’ Aosta 43,5%
Lombardia 24,9%
Liguria 30,9%
Italia Nord- occidentale 26,6%
Provincia di Bolzano 27,5%
Provincia di Trento 30,4%
Veneto 24,3%
Friuli-Venezia Giulia 31,5%
Emilia-Romagna 38,8%
Italia Nord- orientale 31,0%
Toscana 35,6%
Umbria 44,4%
Marche 28,1%
Lazio 30,3%
Italia centrale 32,6%
Abruzzo 21,1%
Molise 15,3%
Campania 6,5%
Puglia 18,2%
Basilicata 13,9%
Calabria 11,1%
Sicilia 11,9%
Sardegna 25,0%
Italia meridionale e insulare 12,9%
TOTALE ITALIA NIDO + SERVIZI INTEGRATIVI 23,9%

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Tasso di copertura dei nidi e dei servizi integrativi su popolazione 0-2 anni 2012-2016

(Fonte: Dipartimento per le politiche della famiglia – Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e adolescenza – Istituto degli Innocenti)

anno | %nidi | %Serv. Int.vi | %TOT.

2016 | 21,6 % |   2,2 %       |    23,90%

2015 | 20,8 % |   2,0 %       |    22,80 %

2014 | 20,1 % |  1,8 %        |    21,90 %

2013 | 19,1 % |  1,9 %        |    21,00 %

2012 | 17,8 % |   2,2 %       |    20,00 %

Posti nelle unità di offerta di nido e servizi integrativi

(Dipartimento per le politiche della famiglia – Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e adolescenza – Istituto degli Innocenti)

Anno    n. posti
2008    234.703
2009    262.900
2010    272.391
2011    287.664
2012    287.149
2013    299.503
2014    326.425
2015    345.707
2016    346.649

In questa indagine sull’anno scolastico 2016/17 l’Istat dichiara una diminuzione della spesa dei Comuni e un relativo calo della sua utenza nel biennio 2012-2014.

Afferma che per due anni le risorse dei Comuni sono un poco calate e poi si sono stabilizzate. In altre parole, tra il 2012 e il 2014 abbiamo assistito (come già rilevato nei documenti ANCI usciti due anni or sono, che indicavano l’aumento di posti non occupati nei servizi comunali) al calo delle domande d’iscrizione a causa – come ribadisce l’Istat in questo rapporto – del “peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie e le difficoltà che attengono al mercato del lavoro e… per la riduzione dei trasferimenti statali”.

Come si può leggere più oltre, in quel periodo 2012-2014 la contribuzione delle famiglie (le rette) avevano raggiunto il loro livello più alto, passando dal 17% del 2004 al 20% del 2013, per poi dal 2015 diminuire al 19%.

Ecco cosa scrive, testuale, in questo suo ultimo rapporto l’Istat: “La spesa dei comuni per i nidi ha smesso di crescere. Per diversi anni le misure intraprese per favorire lo sviluppo dei servizi per l’infanzia hanno mostrato un effetto positivo. Tra il 2004 e il 2012 le risorse messe a disposizione dai comuni, titolari dell’offerta pubblica sul territorio, sono passate da 1,1 a 1,6 miliardi di euro (+47%). Nei due anni successivi, invece, si registra una contrazione   della   spesa   e   nel   triennio   2014-2016   le   risorse   sembrano   essersi stabilizzate. Nel 2016 la spesa impegnata complessivamente dai comuni per i servizi rivolti alla prima infanzia è stata di circa 1 miliardo e 475 milioni di euro (il 19,4% rimborsata dalle famiglie sotto forma di rette). Anche il numero dei bambini iscritti nei servizi educativi comunali e convenzionati mostra una tendenza all’aumento fino al 2010, ma a partire dall’anno scolastico 2011/2012 si registra una contrazione che anticipa di circa un anno la riduzione della spesa dei comuni. Se dal lato dell’offerta si riscontra l’effetto delle minori capacità di spesa dei comuni e della riduzione dei trasferimenti statali destinati alle politiche sociali, anche dal lato della domanda sono aumentate le criticità. Il peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie e le difficoltà che attengono al mercato del lavoro hanno condizionato le scelte in materia di affidamento dei bambini ai servizi socio-educativi. Le rette pagate dalle famiglie hanno contribuito in misura non trascurabile e crescente al finanziamento dei servizi. La quota a carico degli utenti sul totale della spesa corrente dei comuni è passata dal 17% del 2004 al 20% del 2013, mentre dal 2015 si attesta al 19%. Il valore degli iscritti nelle strutture comunali o convenzionate in rapporto ai bambini di età inferiore a 3 anni è passato dall’11,4% dell’anno scolastico 2004/2005 al 14% del 2010/2011. Nei quattro anni successivi, però, si ha una progressiva contrazione e soltanto nell’anno scolastico 2016/2017 si registra un leggero recupero (13%, contro 12,6% del 2015/2016). Tale incremento è dovuto in realtà alla diminuzione dei bambini residenti, in presenza di una sostanziale stabilità degli iscritti nei servizi socio-educativi. Nell’anno scolastico 2016/2017 i bambini che hanno usufruito dell’assistenza offerta dai comuni sono 190.984, per la maggior parte accolti all’interno dei nidi comunali.”.

Il numero dei bambini accolti nei nidi è in costante crescita anche se con una stasi in quei due anni e nonostante il calo delle nascite.

Il problema non è derivante dal fatto che i comuni risparmiano qualcosa (diminuzione leggera della loro spesa perché esternalizzano i nidi).

Il problema vero e concreto, in prospettiva, è il seguente: da qui al 2025 si prospettano circa 120mila posti in meno nelle scuole dell’infanzia italiane e pertanto oltre 70mila posti nelle scuole statali.

Cosa dovrebbe fare il Miur a fronte delle conseguenze di questa denatalità?

Se si vuole incentivare la diffusione dei nidi, assicurando in tal modo l’ampliamento dei diritti sociali dei bambini 0-2 anni e delle loro famiglie, si dovrebbe dirottare le economie (per minor numero di utenza servita) sul sistema 0-2 o (a) per ampliare i servizi o/e (b) e per consentire ai comuni di ridurre drasticamente le rette (oggi l’incasso totale annuo si aggira un po’ più di 500 milioni di euro, comprendendo sia i nidi pubblici sia i nidi convenzionati) andando verso il superamento del “servizio a domanda individuale”.

Rispetto a questa prospettiva, ci sono idee diverse – anche se ancora non si sono espresse chiaramente – per le quali la diminuzione dei posti bambino nelle statali dovrebbe portare ad una diminuzione dei bambini per sezione (oggi siamo attorno a 23-24 bambini per sezione) puntando quindi ad una maggior qualificazione educativa  delle scuole statali (meno bambini più qualità, anche se non sempre avviene questo). In tal modo il Miur accontenterebbe il proprio personale (sindacati compresi) perché non diminuirebbe gli organici, però creerebbe due effetti negativi: (1) un dislivello con le scuole paritarie comunali e private che non potrebbero permettersi di abbassare il numero dei bambini per sezione e (2) non consentirebbe al sistema 0-2 di aumentare i posti disponibili o, forse in maniera più interessante sotto il profilo dell’accessibilità dei servizi, di andare verso il superamento del “servizio a domanda individuale”.

C’è una terza possibilità, assolutamente da scongiurare, ovvero che le economie nei servizi scolastici divengano sottrazioni di risorse a tali servizi e siano destinate a finanziare altri settori e finalità.