Non è obbligatoria la gratuità per il trasporto a scuola dei disabili

SentenzaCorte di Cassazione 17 settembre 2013, n. 21.166 Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 giugno – 17 settembre 2013, n. 21166
Presidente Trifone – Relatore Lanzillo

Svolgimento del processo

G.M. ha proposto al Tribunale di Bergamo – sezione distaccata di Grumello del Monte – domanda di restituzione della somma di £ 37.530.000 (€ 19.382,63), che ritiene di avere indebitamente versato al Comune di Torre dei Roveri, quale contributo per prestazioni di assistenza erogate al figlio N. allo scopo di consentirgli di frequentare la scuola dell’obbligo, essendo il giovane rimasto paralizzato all’età di cinque anni, a seguito di un grave incidente.
Assumeva l’attore che il figlio avrebbe avuto diritto di percepire gratuitamente tutte le prestazioni, consistite nel trasporto da casa a scuola e nell’assistenza ad opera di apposito personale in classe, ed alcune volte alla settimana anche a domicilio, trattandosi di prestazioni necessarie per il completo adempimento dell’obbligo scolastico.
Il Comune ha resistito, negando di dover erogare le prestazioni a titolo completamente gratuito, e il Tribunale, condividendone le argomentazioni, ha respinto la domanda attrice.
Proposto appello dal M., con sentenza n. 815/06, depositata il 31 agosto 2006, la Corte di appello di Brescia ha confermato la decisione di primo grado.
Il M. propone due motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.
Resiste il Comune con controricorso.

Motivi della decisione

1. – La Corte di appello ha respinto la domanda attrice con la motivazione che la legislazione vigente – ed in particolare il d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, la legge della Regione Lombardia 20 marzo 1980 n. 31 e la legge quadro 5 febbraio 1992 n. 104 sull’assistenza ai portatori di handicap – non impone alle amministrazioni comunali di assicurare la completa gratuità dei servizi destinati a permettere di frequentare la scuola, ma solo dispone la gratuità di singole e specifiche prestazioni, quali l’assegnazione dei libri scolastici e di posti nei convitti.
Ha rilevato che l’art. 10 d.p.r. n. 616/1977 cit. dispone che agli oneri dei servizi collettivi destinati ad attuare il diritto allo studio “concorrono gli utenti in relazione alle rispettive fasce di reddito” e che l’applicazione di questo principio a maggior ragione si impone, quanto alla. prestazione dei servizi individuali.
Ha soggiunto che le norme degli art. 3 e 34 Cost. – richiamate dall’appellante a supporto delle sue ragioni – hanno natura meramente programmatica.

 

2. – Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli art. 42 e 45 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616; 2, 10, 12 e 16 della legge della Regione Lombardia 20 marzo 1980 n. 31, in relazione agli art. 3, 10 e 34 Cost.; 26 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo di New York (1948), 2 e 28 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo 20 novembre 1989, recepita in Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176, deducendo che il fatto di esigere un contributo economico per erogare ai portatori di handicap le prestazioni essenziali al fine di consentire loro di frequentare la scuola dell’obbligo viola i principi costituzionali in tema di gratuità dell’istruzione obbligatoria e di uguaglianza fra i cittadini.

Con il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul medesimo punto.
Assume che il principio per cui il minore disabile ha diritto all’assistenza interamente gratuita, trova riscontro nella sentenza 8 giugno 1987 n. 215 della Corte costituzionale e si desume esplicitamente dal testo dell’art. 2 della Legge Reg. Lombardia n. 31/1980, circa l’obbligo di assicurare il diritto allo studio e di facilitare la frequenza delle scuole materne e dell’obbligo ai minori disadattati o in difficoltà di sviluppo; che il combinato disposto degli art. 42 e 45 d.p.r. n. 616/1977 cit. manifesta che le sole prestazioni di carattere collettivo richiedono il concorso economico dei singoli utenti; non invece le prestazioni individuali, destinate a coloro che – per la loro infermità – non sarebbero altrimenti in condizione di frequentare la scuola, poiché questi sarebbero altrimenti discriminati rispetto agli altri allievi. Tale è la situazione del figlio, data la sua assoluta impotenza funzionale a tenere la stazione eretta.
3. – I motivi – che possono essere congiuntamente esaminati – non sono fondati.
Va premesso che non può essere condiviso nella sua assolutezza il principio enunciato dalla Corte di appello, secondo cui i principi contenuti nella nostra Costituzione e nelle convenzioni internazionali in tema di diritto alla parità di trattamento ed all’istruzione gratuita avrebbero valore meramente programmatico.
Ciò è vero quanto alla regolamentazione complessiva e analitica della materia, quanto alla scelta della natura e dell’entità delle prestazioni da offrire gratuitamente (numero e qualità degli insegnamenti; scelta del personale didattico, entità dei presidi didattici, dei materiali e supporti didattici, ecc.) e quanto a quelle da ritenere non essenziali o facoltative o accessorie, per le quali richiedere un contributo economico, o addirittura da lasciare interamente a carico degli utenti (libri di testo, trasporto a scuola, corsi integrativi o di recupero, attività sportive, ecc.).
Le norme costituzionali hanno però natura precettiva, quanto all’indicazione di taluni limiti oltre i quali il legislatore ordinario non ha la possibilità di andare: una normativa che preveda un’offerta scolastica gratuita di contenuto irrisorio, o che offra prestazioni e trattamenti ingiustificatamente differenziati per diverse categorie di soggetti, o che non assicuri la completa gratuità di insegnamenti essenziali, tenuto conto della situazione personale del disabile, o che esiga un contributo economico per attività anche non essenziali da chi si trovi in condizioni economiche disagiate, sarebbe indubbiamente illegittima.
Ma ciò non significa che si debba necessariamente garantire la completa gratuità di tutte le ipotizzabili prestazioni che passano essere connesse all’esercizio del diritto allo studio, pur se collaterali, accessorie, di supporto, facoltative, di complemento, pur se rese necessarie da peculiari situazioni personali.
Leggi e pubblica amministrazione debbono inevitabilmente effettuare una scelta fra prestazioni essenziali, gratuite, e non essenziali, eseguibili dietro pagamento di un contributo: scelta da effettuarsi in relazione alle finalità perseguite, alle esigenze dell’utenza di base, ai casi normali ed ai casi limite, agli assetti organizzativi consolidati ed alle disponibilità economiche dei singoli enti (cfr Corte cost. 21 maggio 1975 n. 125: gli obblighi inerenti all’attuazione dei principi della scuola aperta a tutti e della gratuità dell’istruzione elementare e media, di cui all’art. 34, primo e secondo comma, Cost. “debbono essere adempiuti nel quadro degli obblighi dello Stato, secondo una complessa disciplina legislativa e nell’osservanza dei limiti del bilancio”).
Le nostre leggi hanno attuato i principi di cui all’art. 31 Cost. nel senso che lo Stato predispone, senza oneri per gli utenti, gli ambienti, i locali ed il personale scolastico, i supporti didattici, l’esonero dal pagamento di tasse contributi per l’iscrizione, ecc.
Inizialmente si è negato che l’istruzione gratuita comprendesse la prestazione dei libri di testo (Corte cost. n. 7/1967), che è stata invece successivamente inclusa; la fornitura dei mezzi di trasporto, che oggi invece gran parte delle Regioni assicura, alcune gratuitamente (legge Reg. Sicilia), altre tramite l’applicazione di tariffe differenziate e di altre agevolazioni (art. 3 Legge Reg. Lombardia n. 31/1980 cit.).
­Le linee generali della legislazione vigente mostrano che è garantita la gratuità quanto ai locali e agli ambienti scolastici, alle dotazioni didattiche e tecniche, al personale insegnante ed ai libri di testo. Ciò anche con riferimento ai disabili, per rendere effettivo il loro diritto allo studio, in posizione di parità rispetto agli altri studenti, disponendo espressamente che essi hanno diritto di disporre di personale appositamente qualificato, docente e non docente (art. 8, lett. d legge 5 febbraio 1992 n. 104) e di essere inseriti nelle classi normali, con eliminazione delle classi differenziali, nelle stesse condizioni di gratuità assicurate agli altri allievi.
Ma non vi sono disposizioni specifiche dirette a stabilire che tutte le prestazioni supplementari e aggiuntive rispetto all’insegnamento in classe (per peculiari mezzi di trasporto del disabile, per assistenza di personale a casa, per lezioni ed esercizi supplementari, ecc.) debbano essere necessariamente assicurate senza alcun contributo da parte della famiglia, quando la famiglia sia nella condizione di dare un tale contributo.
Vale a dire, lo Stato è tenuto a sobbarcarsi agli oneri economici inerenti all’offerta formativa di base, ivi incluse le maggiori spese, organizzative e di personale, richieste dalle esigenze dei portatori di handicap: con sentenza 22 febbraio 2010 n. 80, per esempio, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, sul rilievo che i disabili non costituiscono un gruppo omogeneo, in quanto vi sono forme diverse di disabilità, per ognuna delle quali è necessario individuare meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona. Ha ribadito che il diritto del disabile all’istruzione si configura come diritto fondamentale; che la discrezionalità del legislatore, nell’individuare le misure necessarie di tutela trova un limite invalicabile nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie, e che la scelta legislativa di stabilire un limite massimo relativamente al numero delle ore di insegnamento di sostegno non trova alcuna giustificazione nell’ordinamento e si appalesa irragionevole poiché comporta l’impossibilità di avvalersi di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico.
Da alcuna disposizione risulta, tuttavia, che – al di là di questi oneri aggiuntivi a carico della pubblica amministrazione per offrire gratuitamente a tutti il diritto allo studio – non sia consentito richiedere non l’equo corrispettivo, ma quanto meno un contributo economico per le prestazioni supplementari e aggiuntive a quelle qui considerate, qualora l’allievo sia in grado di pagarlo.
La legge quadro sull’assistenza ai disabili n. 104/1992 cit. menziona la necessità di adottare provvedimenti che rendano effettivo il diritto allo studio della persona handicappata, “con particolare riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, ai linguaggi specializzati, alle prove e alla disponibilità di personale qualificato” (art. 8 lett. d), anche tramite la riserva di posti nella scuola materna e nelle classi di ogni ordine e grado (art. 12), ma specifica all’art. 9 che il servizio di aiuto personale (in relazione a tutte le esigenze) può essere istituito dai Comuni “nei limiti delle proprie ordinarie risorse di bilancio”: disposizione ripetuta nell’art. 31, 4° comma, per le attività di assistenza e di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado.
Ed ancora, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale il 13 dicembre 2006, statuisce all’art. 24 che gli Stati “riconoscono il diritto delle persone con disabilità all’istruzione”, il quale deve essere garantito “anche attraverso la predisposizione di accomodamenti ragionevoli al fine di andare incontro alle esigenze individuali del disabile”: accomodamenti che ben possono comprendere la prestazione di un contributo in denaro.
L’art. 6 ult. comma della legge della Regione Lombardia n. 31/1980 cit. dispone in favore di invalidi e disabili “la concessione di assegni individuali o di posti in convitti o residenze”: cioè supporti logistici agli oneri collegati all’istruzione, ma non la completa gratuità delle prestazioni.
L’art. 9, 1° comma, della stessa legge garantisce la frequenza delle scuole superiori mediante l’assegnazione di posti gratuiti o semi gratuiti in convitti o pensionati, o mediante la concessione di assegni di studio (non necessariamente onnicomprensivi) .
L’art. 10 dispone che agli oneri dei servizi collettivi, esclusi quelli gratuiti per disposizioni di legge, concorrono gli utenti in relazione alle rispettive fasce di reddito.
Correttamente ha rilevato la Corte di appello che a maggior ragione il contributo può essere chiesto in relazione agli oneri – normalmente più gravosi – inerenti alle situazioni di inabilità individuale.
Da questa disposizione si desume, fra l’altro, che la completa gratuità deve risultare da specifiche disposizioni di legge.
Il d.p.r. n. 616/1977 dispone infine, all’art. 42, che le funzioni amministrative in tema di assistenza scolastica – attribuite ai Comuni dall’art. 45 dello stesso d.p.r. – riguardano “tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro, o mediante servizi individuali e collettivi… ” l’assolvimento dell’obbligo scolastico, senza fare distinzione fra servizi individuali e collettivi e senza disporre in alcun modo che le provvidenze in denaro debbano essere necessariamente onnicomprensive.
La legge lascia cioè ampi margini di discrezionalità alla pubblica amministrazione nel coniugare il principio della gratuità dell’istruzione obbligatoria, ivi inclusa quella destinata ai disabili, con la disponibilità di risorse (di ogni genere) e con i vincoli di bilancio, autorizzando a distinguere fra prestazioni e situazioni a cui applicare la completa gratuità e prestazioni subordinate al pagamento di un contributo da parte dell’interessato.
Solo se l’allievo sia in condizioni economiche disagiate, si può mettere in questione la legittimità della richiesta di un contributo, con riferimento a prestazioni che, ancorché aggiuntive o non essenziali, costituiscano un importante accessorio dell’offerta formativa, si che il rinunciarvi avrebbe effetti discriminatori.
Ma il ricorrente non ha dedotto nulla del genere.
Neppure risulta avere dedotto e dimostrato, nelle competenti sedi di merito, per quali e quante prestazioni gli sia stato richiesto il contributo; se si sia trattato di attività basilari per l’acquisizione dell’istruzione elementare e media obbligatoria, o di prestazioni aggiuntive rispetto a quelle essenziali di base; se il relativo importo sia sproporzionato od eccessivo in relazione ai vantaggi ricevuti ed in relazione agli oneri gravanti sugli altri allievi per analoghe prestazioni (per esempio quanto al trasporto); se fosse proporzionato, o eccessivamente onerosa, rispetto alle proprie condizioni economiche: circostanze tutte che potrebbero essere rilevanti al fine di valutare la razionalità, quindi la legittimità della decisione del Comune di esigere il contributo, alla luce dei principi costituzionali circa la gratuità della scuola dell’obbligo.
Il ricorrente ha solo fatto valere un generico diritto alla parità di trattamento, che gli darebbe il diritto di annullare tutti i maggiori oneri su di lui gravanti per l’istruzione del figlio: diritto che le leggi in vigore non garantiscono nella sua assolutezza e che i principi costituzionali auspicano, ma non possono imporre di attuare indiscriminatamente e a prescindere dai limiti insiti nelle concrete possibilità di gestione della cosa pubblica.
4. – Il ricorso non può che essere respinto.
5. – Considerata la natura della controversia, la drammaticità del caso umano e la delicatezza delle questioni giuridiche connesse, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.