Il dirigente scolastico può negare il pasto domestico

   Sentenza TAR Luguria 19 settembre 2019, n. 722    

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LIGURIA – GENOVA, SEZIONE 1
UDIENZA 3 LUGLIO 2019 – SENTENZA 19 SETTEMBRE 2019, N. 722

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 657 del 2018, proposto da:
-OMISSIS–OMISSIS-, in proprio e in qualità di esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore -OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS- ed -OMISSIS-, in proprio e in qualità di esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore -OMISSIS–OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avv. Gi. Ve. e Ga. Lo. Ro., elettivamente domiciliati presso l’avv. Ga. Lo. Ro. nel suo studio in Genova, via (…);

contro

Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e I.C. -OMISSIS-e -OMISSIS-, in persona del Dirigente scolastico pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale (…);

nei confronti

La. S.r.l., non costituita in giudizio;

per l’annullamento

della comunicazione prot. n. 3664 del 21.9.2018 nonché della nota prot. n. 4045 del 5.10.2018 pubblicata sul sito istituzionale dell’I.C. -OMISSIS-e -OMISSIS-, degli artt. 1, comma 7, e 2, comma 5, del regolamento di Istituto, nonché di ogni altro atto o provvedimento preordinato, antecedente, presupposto e connesso;

nonché per l’accertamento del diritto soggettivo perfetto delle minori -OMISSIS–OMISSIS- e -OMISSIS- ad essere ammesse a consumare i propri pranzi di preparazione domestica nel locale refettorio, unitamente e contemporaneamente ai compagni di classe, sotto la vigilanza e con l’assistenza educativa dei propri docenti, per condividere i contenuti educativi connessi al tempo mensa;

e per la conseguente condanna dell’I.C. -OMISSIS-e -OMISSIS-ad adottare, senza ritardo, tutte le misure e gli accorgimenti di legge atti a disciplinare la coesistenza nel medesimo refettorio di pasti di preparazione domestica e di pasti forniti dalla ditta comunale di ristorazione collettiva, oltre che per la condanna al risarcimento dei danni.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dell’I.C. -OMISSIS-e -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 luglio 2019 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Le minori -OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS- svolgono il corso di studi della scuola primaria presso l’Istituto -OMISSIS-e -OMISSIS-di Genova.

Per l’anno scolastico 2018/2019, i genitori delle minori avevano scelto un orario comprendente pomeriggi obbligatori e comunicato la propria volontà di rinunciare al servizio di refezione scolastica.

Essi chiedevano, più precisamente, che fosse garantita la possibilità di consumare cibi portati da casa, in luogo dei pasti forniti dall’impresa appaltatrice del servizio, senza che le alunne dovessero rinunciare alla condivisione del “tempo mensa” nei locali dell’Istituto.

Analoghe richieste, formulate dai genitori della minore -OMISSIS–OMISSIS- nei due anni scolastici precedenti, erano state accolte solo in parte dalla Dirigente scolastica la quale, pur consentendo l’esercizio dell’autorefezione individuale, aveva stabilito che i pasti di preparazione domestica non potessero essere consumati all’interno del locale adibito a refettorio.

I genitori della minore avevano avversato tale decisione con un ricorso ex art. 700 c.p.c. che il Tribunale di Genova, con ordinanza del -OMISSIS- 2016, ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, contestualmente rilevando che le contestate modalità organizzative non potevano essere ritenute tali da vanificare le scelte compiute dai familiari dell’alunna.

In data 14 novembre 2017, gli stessi genitori hanno presentato, sempre con riguardo agli accorgimenti posti in essere per garantire l’attuazione del preteso diritto all’autorefezione, una denuncia-querela nei confronti della Dirigente scolastica in ordine ai reati di maltrattamenti verso fanciulli o di abuso d’ufficio.

Le accennate soluzioni organizzative hanno trovato applicazione anche per l’anno scolastico 2018/2019.

Con atto del 21 settembre 2018, infatti, la Dirigente ha stabilito di “garantire il diritto per gli alunni interessati di consumare il cd. pasto domestico presso i locali della scuola primaria -OMISSIS-” (il plesso frequentato dalla minore -OMISSIS-) “ma al di fuori del locale adibito a refettorio”.

Tale determinazione è motivata con riferimento alle “presenze di alunni segnalati per allergie alimentari e/o in situazione di codice rosso frequentanti il plesso” nonché alle “caratteristiche strutturali del locale adibito a refettorio” ed ai “rischi connessi alla commistione di pasti veicolati con i cd. pasti domestici”.

La Dirigente, quindi, ha sottoposto l’istanza della signora -OMISSIS–OMISSIS-, madre della minore -OMISSIS-, alle insegnanti della classe le quali, con nota del 1° ottobre 2018, suggerivano unanimemente di “far consumare il suddetto pasto [domestico] in classe successivamente alla fruizione del pranzo in refettorio da parte dei compagni”: ciò “alla luce della presenza in classe di un codice rosso, per motivazioni prevalentemente di carattere igienico-sanitario al fine di consentire al personale ATA di provvedere nei tempi adeguati alla pulizia dello spazio/banchi destinati alla consumazione del pasto portato da casa”.

Infine, con circolare del 5 ottobre 2018, pubblicata sul sito istituzionale dell’Istituto scolastico, la Dirigente ha ribadito che l’esercizio dell’autorefezione individuale è ammesso al di fuori del refettorio.

Tutto ciò premesso, con ricorso notificato mediante p.e.c. il 19 ottobre 2018 e depositato in pari data, i genitori delle alunne -OMISSIS- e -OMISSIS–OMISSIS- hanno impugnato le menzionate determinazioni della Dirigente scolastica.

Essi chiedono anche che sia accertato il “diritto soggettivo perfetto” delle minori di essere ammesse a consumare i propri pranzi di preparazione domestica nel locale refettorio, insieme ai compagni che fruiscono della ristorazione collettiva scolastica e con l’assistenza dei docenti, con la conseguente condanna dell’Istituto intimato ad adottare le misure atte a disciplinare la coesistenza nel medesimo refettorio di pasti “autoprodotti” e di pasti forniti dall’impresa appaltatrice del servizio.

Chiedono, infine, che l’Amministrazione sia condannata al risarcimento dei danni e ad una sanzione pecuniaria per lite temeraria.

Premessi riferimenti ai contenuti della sentenza n. 1049 del 21 giugno 2016, con cui la Corte d’appello di Torino aveva affermato l’esistenza del diritto di scelta tra la refezione scolastica e il “pasto domestico” da consumarsi nell’orario destinato alla refezione, parte ricorrente si sofferma sulla sussistenza della giurisdizione dell’adito giudice amministrativo.

Nel merito, deduce i seguenti motivi di gravame:

I) Violazione di legge con riferimento alla Convenzione dei diritti del fanciullo approvata a New York in data 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176; violazione degli artt. 1, 2, 3, 5, 14, 16, 18, 19, 28 e 42 della predetta legge n. 176/91; violazione di legge con riferimento al d.lgs 19 febbraio 2004, n. 59, ed alla circolare M.I.U.R. n. 29 del 5 marzo 2004; violazione di legge con riferimento agli artt. 3, 32, 34, 35 della Costituzione. Violazione di legge ed omessa applicazione della nota MIUR 7 marzo 2017, prot. n. 348. Contraddittorietà manifesta. Eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento e della violazione del principio generale di uguaglianza, della carenza assoluta di istruttoria e di motivazione, di illogicità, di arbitrarietà e di ragionevolezza.

Le contestate scelte della Dirigente scolastica concreterebbero un illegittimo diniego del diritto di scelta dell’autorefezione, inteso quale esplicazione del diritto all’autodeterminazione nelle scelte alimentari, nonché una forma di discriminazione nei confronti delle alunne che sarebbero state isolate dai compagni in quanto “non clienti del servizio di ristorazione”.

II) Incompetenza. Sviamento di potere. Violazione di legge ed omessa e/o travisata applicazione di legge con riferimento al reg. CE n. 852/04; violazione ed omessa applicazione di legge con riferimento all’art. 26 del d.lgs. n. 81/08; eccesso di potere sotto i profili dello sviamento, della assoluta carenza di istruttoria e di motivazione, anche in termini di violazione di legge con riferimento agli artt. 3 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione di legge ed errata applicazione di norme con riferimento alla nota MIUR 348/17. Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà (rispetto alle indicazioni ASL), della assoluta illogicità, inidoneità, incoerenza, non proporzionalità e non necessarietà .

Le misure adottate dalla Dirigente scolastica sarebbero sproporzionate e non sorrette da motivazioni idonee a giustificare il sacrificio imposto alle minori, anche considerando che la stessa Dirigente non possiede alcuna competenza in materia di vigilanza sanitaria sulla sicurezza degli alimenti.

Con decreto presidenziale n. 243 del 22 ottobre 2018, è stata respinta l’istanza di tutela cautelare provvisoria.

Con memoria depositata il 16 novembre 2018, l’Avvocatura distrettuale dello Stato, già costituitasi formalmente in giudizio in rappresentanza dell’intimato Istituto scolastico e del Ministero dell’istruzione, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, assumendo anche l’infondatezza nel merito delle pretese di parte ricorrente.

L’istanza cautelare accedente al ricorso introduttivo è stata respinta con ordinanza n. 269 del 21 novembre 2018.

All’esito dell’istruttoria disposta con precedente provvedimento, la sesta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 1623 del 27 marzo 2019, ha accolto l’appello cautelare.

Le parti in causa hanno depositato memorie difensive e di replica a sostegno delle rispettive posizioni.

Le ricorrenti, tra l’altro, hanno specificato la domanda di risarcimento dei danni che ammonterebbero all’importo di Euro 12.960,00 per la signora -OMISSIS–OMISSIS- (pari ai mancati proventi da lavoro autonomo nei periodi in cui, prima che fosse accolto l’appello cautelare, essa si era dovuta recare a scuola per prelevare la figlia e riaccompagnarla al termine della pausa pranzo) e di Euro 1.552,65 per i genitori dell’altra minore (pari alle spese sostenute, nello stesso periodo, per compiere il tragitto dal luogo di lavoro alla scuola).

Il ricorso, quindi, è stato chiamato alla pubblica udienza del 3 luglio 2019 e, all’esito della trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.

DIRITTO

1) E’ contestata la legittimità degli atti con cui la Dirigente scolastica dell’Istituto -OMISSIS-e -OMISSIS-di Genova, pur consentendo agli alunni che ne avevano fatto richiesta di consumare cibi portati da casa in luogo dei pasti forniti dall’impresa appaltatrice del servizio di refezione scolastica, ha stabilito che la consumazione dei “pasti domestici” dovesse avvenire in locali diversi dal refettorio ed in orario non coincidente con quello della mensa.

Tali determinazioni sono motivate con riferimento alla presenza di alunni sofferenti per allergie alimentari, alcuni in “codice rosso”, ed ai rischi generati dalla possibile commistione dei “pasti domestici” con quelli distribuiti dall’impresa, nonché alle carenze strutturali del locale refettorio.

I ricorrenti, genitori di alunne che avevano rinunciato al servizio pubblico in favore del pasto “autoprodotto”, agiscono in giudizio per conseguire l’annullamento di tali atti e per l’accertamento del “diritto all’autorefezione”, inteso quale diritto di consumare i cibi portati da casa all’interno del refettorio ed in orario coincidente con la mensa.

2) La difesa erariale eccepisce preliminarmente che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, nella parte in cui contiene l’accennata domanda di accertamento di una situazione giuridica che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, deve essere qualificata come “diritto soggettivo perfetto”.

Tale eccezione non può essere condivisa.

La questione relativa alla sussistenza di un diritto soggettivo all’autorefezione individuale in ambito scolastico non costituisce, infatti, l’oggetto diretto e principale della controversia, ma si atteggia come presupposto per l’esercizio del potere tradottosi nell’adozione di atti amministrativi autoritativi, mediante i quali è stato fatto divieto di consumare i cibi portati da casa nei locali in cui si svolge il servizio di refezione scolastica destinato alla generalità degli alunni.

Né risulta sufficiente a radicare la giurisdizione ordinaria il fatto che i ricorrenti deducano la violazione dei diritti soggettivi costituzionalmente tutelati al riconoscimento della pari dignità sociale, all’istruzione, al lavoro e alla salute.

Come recentemente rilevato dal Consiglio di Stato, infatti, la natura fondamentale di tali diritti non è di per sé sufficiente a far ritenere che le controversie ad essi riferiti siano devolute alla giurisdizione del giudice ordinario (sez. V, 3 settembre 2018, n. 5156).

Tale conclusione, qui condivisa, fonda sulla disposizione (l’art. 133, comma 1, lett. c, c.p.a.) che devolve alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie in materia di pubblici servizi relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo e, più in generale, sulla considerazione secondo cui la categoria dei cosiddetti diritti fondamentali non delimita un’area estranea all’intervento di pubblici poteri autoritativi.

La sussistenza di poteri amministrativi conferiti dalla legge nei casi in cui il bene della vita coinvolto costituisca (asserita) proiezione di un diritto costituzionalmente tutelato comporta, quindi, la possibilità di configurare, ai fini del riparto di giurisdizione, la situazione giuridica coinvolta nell’esercizio della pubblica funzione come interesse legittimo.

3) Nel merito, premesso che il rifiuto della ristorazione scolastica collettiva costituirebbe manifestazione di una volontà incomprimibile dei genitori, in quanto esplicazione del diritto all’autodeterminazione nelle scelte alimentari tutelato dall’art. 32 della Costituzione, gli esponenti rilevano che la nozione di istruzione, soprattutto nella scuola primaria, non coincide con la sola attività di insegnamento, ma comprende anche altre attività educative, tra cui l’erogazione del pasto rappresenta un momento particolarmente importante.

Il cosiddetto “tempo mensa”, pertanto, farebbe parte integrante del progetto educativo che deve essere attuato dal servizio scolastico, cui i minori hanno diritto di partecipare proprio perché costituisce esercizio del diritto all’istruzione, anche nel caso in cui le famiglie degli stessi abbiano optato per la consumazione di pasti “autoprodotti”.

Ne consegue l’affermazione del diritto ad esercitare l’autorefezione insieme ai compagni che consumano i pasti forniti dall’impresa appaltatrice del servizio di refezione scolastica.

La tesi di parte ricorrente appare intrinsecamente contraddittoria, dal momento che proprio la dichiarata inclusione del “tempo mensa” nel novero delle attività educative comporta la necessità di condividerne le finalità, non diversamente da quanto si verifica per le attività didattiche in senso stretto.

Anche in questo secondo ambito può verificarsi, infatti, che gli indirizzi educativi attuati all’interno delle famiglie non coincidano con le scelte dell’amministrazione scolastica o dei docenti, ma ciò non legittima certo i genitori ad opporvi un diritto di veto (cfr. Cass. civ., sez. un., 5 febbraio 2008, n. 2656) ovvero a pretendere di conformare i contenuti dell’insegnamento secondo le proprie convinzioni (fatta eccezione per il diritto di avvalersi o di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica).

Analoghe considerazioni valgono per la partecipazione al cosiddetto “tempo mensa”, poiché le finalità formative ad esso sottese implicano necessariamente una prospettiva di socializzazione che, a sua volta, comporta la condivisione dei cibi in una situazione di sostanziale uguaglianza, salvi i limiti imposti da esigenze di salute o religiose.

Neppure in tale contesto, quindi, può essere attribuita al nucleo familiare “una funzione esclusiva e totalizzante nel processo di crescita, educazione e maturazione dei figli” (Cass., sent. n. 2656 cit.), sicché le scelte compiute dalle famiglie in materia alimentare, anziché costituire espressione di una volontà incomprimibile, devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con le azioni poste in essere dall’amministrazione nell’interesse pubblico, peraltro presidiate da controlli sanitari e di qualità ovviamente non riproducibili in ambito domestico.

Non può trascurarsi, infine, come la scelta individuale dell’autorefezione, perlomeno nei termini in cui è configurata da parte ricorrente, sostanzi un comportamento non conforme ai doveri di solidarietà sociale sanciti dall’art. 2 Cost., in ragione dei rischi immotivatamente generati per gli alunni con problemi di salute e del contrasto con gli interessi delle famiglie che si avvalgono del servizio di refezione scolastica.

Per tali ragioni, non può essere configurato un diritto all’autorefezione individuale che comporti la possibilità di consumare, durante l’orario della mensa, i cibi portati da casa nei locali in cui si svolge il servizio di refezione scolastica.

4) Nonostante l’infondatezza della pretesa di parte ricorrente, è opportuno vagliare, per completezza, le censure di legittimità sollevate nei confronti degli atti impugnati.

A tal fine, occorre rammentare che, nel caso in esame, non era stata concretamente preclusa la possibilità di esercitare l’autorefezione individuale nei locali dell’Istituto scolastico, ma solamente adottate le misure organizzative che, secondo la valutazione discrezionale dell’Amministrazione, risultavano necessarie onde evitare, nei limiti imposti dalla situazione logistica dei singoli plessi, rischi di contaminazione dei cibi destinati agli alunni sofferenti per allergie alimentari.

Le contestate determinazioni della Dirigente scolastica, secondo cui i cibi portati da casa non potevano essere consumati all’interno del refettorio, non hanno generato effetti discriminatori o lesivi della dignità delle alunne che, per decisione delle famiglie, erano state escluse dalla ristorazione collettiva.

La refezione scolastica, infatti, è un servizio a domanda individuale, la cui fruizione da parte degli alunni è conseguenza di una scelta liberamente compiuta dai genitori: qualora non intendano avvalersi del servizio pubblico, essi possono optare per un orario scolastico non comprendente rientri pomeridiani ovvero prelevare i figli da scuola durante l’orario della mensa e farli rientrare dopo il pasto.

A fronte di tale gamma di opzioni disponibili, i pregiudizi denunciati, sostanziatisi nel privare le alunne di un’importante esperienza educativa di gruppo, non derivano dalle misure organizzative adottate dall’Amministrazione scolastica, ma dalle scelte delle famiglie che, indicando un orario scolastico con impegni pomeridiani, avevano privilegiato un’offerta formativa comprendente la mensa.

La semplice accettazione della ristorazione collettiva avrebbe garantito, quindi, la possibilità di partecipare alle lezioni pomeridiane senza disagi per le famiglie ed in piene condizioni di integrazione, evitando le conseguenze pregiudizievoli rappresentate dalla separazione dai compagni durante il “tempo mensa”.

Tanto più che, nei casi in esame, i genitori interessati non hanno indicato le ragioni sottese al rifiuto della refezione scolastica.

Per tali ragioni, sono infondate le censure articolate con il primo motivo di ricorso.

5) Analoga diagnosi di infondatezza va formulata per quanto concerne le doglianze sollevate con il secondo motivo, sostanzialmente intese a denunciare la sproporzione e l’irragionevolezza delle misure adottate dalla Dirigente scolastica, a fronte dell’asserita possibilità di gestire il rischio determinato dall’introduzione di “pasti domestici” mediante l’ordinaria sorveglianza del personale docente.

Infatti, come riferito dalla Dirigente scolastica, l’Istituto -OMISSIS-e -OMISSIS-è frequentato da trentaquattro alunni che soffrono per intolleranze o allergie alimentari, tre dei quali in “codice rosso”.

La stessa parte ricorrente è consapevole che “i bambini in codice rosso sono bambini caratterizzati da gravi intolleranze alimentari, che possono portare all’anafilassi, una reazione allergica che insorge con estrema rapidità, potenzialmente fatale” (memoria conclusionale, pag. 7).

Per i minori in “codice rosso”, quindi, la contestuale consumazione di “pasti domestici” da parte di altri alunni genera evidenti fattori di rischio, stante la possibilità di contaminazione attraverso scambio di alimenti (come segnalato dalla locale A.S.L. con nota del 6 aprile 2017).

Ciò premesso, è appena il caso di rilevare come il contestato divieto di consumare “pasti domestici” all’interno del refettorio costituisca esplicazione del generale dovere di vigilanza sugli alunni che grava sull’Amministrazione scolastica, sicché non hanno ragione di essere i rilievi circa l’incompetenza della Dirigente in tema di vigilanza sanitaria sulla sicurezza degli alimenti.

In ogni caso, le misure concretamente adottate nel caso di specie non appaiono abnormi o illogiche in quanto, a fronte di rischi potenzialmente letali per la salute dei minori affidati all’Amministrazione scolastica, il principio di precauzione che presidia un ambito così delicato impone l’applicazione di tutti gli accorgimenti atti alla massima riduzione delle fonti di pericolo, anche a discapito della possibilità di consumare liberamente pasti portati da casa ovvero della partecipazione collettiva al “tempo mensa”.

Non pare ragionevole pretendere, inoltre, che l’attività di prevenzione del rischio e le connesse responsabilità ricadano esclusivamente sul personale docente, poiché un “occhio un pò più vigile” (per utilizzare l’espressione di parte ricorrente) non consente di scongiurare qualsiasi possibilità di contaminazione dei cibi.

Come si evince dalla relazione della Dirigente scolastica, infatti, la sorveglianza sugli alunni durante l’orario della mensa è svolta da un docente per ogni classe: egli consuma contemporaneamente il proprio pasto e, in conseguenza, non può essere in grado di attuare un controllo visivo ininterrotto sugli alunni distribuiti in vari tavoli.

Fermo restando che gli insegnanti della classe non dispongono necessariamente delle competenze occorrenti per affrontare particolari criticità igienico-sanitarie.

Non rileva, infine, che l’introduzione di allergeni possa avvenire anche attraverso i pasti distribuiti dall’impresa appaltatrice del servizio, essendo evidente che l’Amministrazione è sempre in grado di controllare le fonti del rischio, a differenza di quanto si verifica inevitabilmente nel caso dell’introduzione di “pasti domestici”.

Tenendo conto delle circostanze del caso concreto, quindi, le scelte compiute dalla Dirigente scolastica, oltre che supportate da evidenti ragioni di interesse pubblico, paiono idonee a realizzare un adeguato contemperamento tra gli interessi delle famiglie che avevano chiesto di consumare i pasti “autoprodotti” e la necessità, assolutamente prevalente, di tutelare la salute di tutti gli alunni della scuola.

6) Non essendovi altre questioni rilevanti ai fini del decidere, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto, ovviamente anche per quanto concerne le istanze risarcitorie proposte dai ricorrenti.

7) La natura degli interessi in gioco e la peculiarità delle questioni affrontate suggeriscono di compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1, 2 e 5, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ed all’art. 6, paragrafo 1, lettera f), del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, manda alla Segreteria di procedere, in caso di riproduzione in qualsiasi forma, all’oscuramento delle generalità dei minori, dei soggetti esercenti la potestà genitoriale e di ogni altro dato idoneo ad identificare i medesimi interessati riportato nella sentenza.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele – Presidente

Richard Goso – Consigliere, Estensore

Paolo Nasini – Referendario