Accoglienza e sorveglianza alunni. Compete al collaboratore scolastico

Sentenza Corte di Cassazione 2 agosto 2018, n. 20.844  

Cassazione civile sez. lav., 02/08/2019, n.20844, (ud. 23/05/2019, dep. 02/08/2019)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso 20556-2014 proposto da:
P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 6,
presso lo studio dell’avvocato GAETANO TREZZA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –

contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DELLE MARCHE, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1013/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 11/02/2014 R.G.N. 281/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GAETANO TREZZA.

Fatto

FATTI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 1013 del 2013, ha rigettato l’appello proposto da P.M. nei confronti del MIUR e dell’Ufficio scolastico regionale per le Marche, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Ascoli Piceno.

2. Il Tribunale di Ascoli Piceno aveva rigettato le domande proposte da P.M., dipendente MIUR in funzione di personale ATA, che svolgeva l’attività di bidello presso la Direzione didattica (OMISSIS), distaccato al plesso scolastico elementare di (OMISSIS), di risarcimento danni da vessazioni, nonchè di dichiarazione di illegittimità della sanzione disciplinare conservativa irrogatagli dell’ammonimento, e aveva condannato il ricorrente non solo alle spese di lite ma anche al pagamento, in favore del MIUR, dell’ulteriore somma di Euro 2.500,00, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, per responsabilità aggravata.

3. Il Tribunale (riportato il testo della missiva indirizzata al dirigente scolastico dalla madre di due alunne della scuola elementare ove il P. prestava servizio, allegata a quella di contestazione degli addebiti disciplinari mossi al lavoratore) considerato che l’aver avviato le due bambine di sei e otto anni allo scuolabus senza accompagnarle pur dopo aver constato che erano rimaste sole per la scuola e staccate dal gruppo che le aveva precedute (esponendole in tal modo a grave rischio per la loro incolumità) costituisce in sè circostanza inescusabile ed indice di una negligenza ed imprudenza che avrebbe consentito una ben più grave sanzione, ha ritenuto il fatto di inammissibile incuria, particolarmente grave perchè potenzialmente pregiudizievole per l’incolumità dei minori sui quali il collaboratore scolastico avrebbe dovuto, invece, vigilare, ha ritenuto adeguata la sanzione disciplinare conservativa dell’ammonimento.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso.

5. Resistono il MIUR e l’Ufficio scolastico regionale per le Marche con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme di cui ai contratti collettivi nazionali di lavoro, e specificamente dell’art. 50 del CCNL 29 novembre 2007 e della Tabella A, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3.

Assume il ricorrente che quanto affermato dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, circa la violazione dell’art. 50 del CCNL 29 novembre 2007 e della tabella A del medesimo CCNL, non sarebbe giuridicamente corretto.

I compiti, ex art. 50 CCNL – “attività di accoglienza e sorveglianza degli alunni di scuola primaria nel servizio post-scuola, nel tragitto scuola-scuolabus e controllo, pulizia del piazzale-parcheggio” – della cui violazione era stato ritenuto disciplinarmente responsabile, gli erano stati affidati (lettera del 30 dicembre 2012 consegnatagli il 12 marzo 2012) successivamente ai fatti in contestazione (17 febbraio 2012), senza che potesse assumere rilievo il riferimento fatto autonomamente dal Giudice alla tabella A allegata al CCNL, sia perchè non richiamata nel provvedimento sanzionatorio impugnato, sia perchè la tabella A fa solo una elencazione dei compiti generali, che possono poi essere richiesti ad ogni singolo specifico operatore secondo il potere e il compito che spetta al dirigente scolastico attribuire.

1.1. Il motivo non è fondato.

La Corte d’Appello correttamente ha affermato che l’obbligo di atteggiamento responsabile nella accoglienza e sorveglianza degli scolari in istituto era proprio delle mansioni tipiche del profilo di appartenenza del lavoratore di cui alla Tabella A “Profili di Area del personale ATA”, allegata al CCNL Comparto scuola del 29 novembre 2007, che sancisce, tra l’altro rispetto all’AREA A, profilo professionale collaboratore scolastico: “(..) E’ addetto ai servizi generali della scuola con compiti di accoglienza e di sorveglianza nei confronti degli alunni, nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all’orario delle attività didattiche e durante la ricreazione, e del pubblico (…) Presta ausilio materiale agli alunni portatori di handicap nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche, all’interno e nell’uscita da esse, nonchè nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale anche con riferimento alle attività previste dall’art. 47”.

Ciò trova conferma proprio nella previsione dell’art. 50 del medesimo CCNL che disciplina l’attribuzione delle posizioni economiche orizzontali, atteso che nello stesso, al punto 3, si afferma “Al personale delle Aree A e B cui, per effetto delle procedure di cui sopra, sia attribuita la posizione economica citata al comma 1, sono affidate, in aggiunta ai compiti previsti dallo specifico profilo, ulteriori e più complesse mansioni concernenti, per l’Area A, l’assistenza agli alunni diversamente abili (…)”.
Tali disposizioni contrattuali pongono in evidenza che le attività di accoglienza e di sorveglianza nei confronti degli alunni, nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all’orario delle attività didattiche (così come l’ausilio materiale agli alunni portatori di handicap nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche, all’interno e nell’uscita da esse), attività in cui si inscrive anche l’accompagnamento degli scolari al punto di raccolta per la consegna all’assistente per prendere lo scuolabus, la cui mancata effettuazione rispetto alle due alunne veniva contestata al lavoratore, rientra tra le mansioni del profilo professionale dell’AREA A di appartenenza del lavoratore medesimo.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alle risultanze documentali.

E’ censurata la statuizione con cui il Tribunale e la Corte d’Appello hanno affermato che il P. aveva ammesso la modalità dell’episodio oggetto della contestazione del 22 febbraio 2012.

Ed infatti, come comprovato dalla giustificazione del 29 febbraio 2012, il lavoratore non aveva ammesso la propria responsabilità e peraltro aveva sempre negato di aver abbandonato le bambine rimaste attardate all’uscita da scuola il 17 febbraio 2012.

Il ricorrente espone nel motivo di ricorso per cassazione che il giorno e all’ora in questione si era recato al pulmino che sostava adiacente la scuola media (OMISSIS).

Preliminarmente aveva provveduto a suonare la campanella di fine lezione e aveva aspettato che tutti i bambini fossero arrivati al punto di raccolta e qui vi si soffermava perchè una bambina non era ancora arrivata, allora, al coro unanime dei bambini che erano tutti, si avviava verso il pulmino. Qui affidava i bambini all’assistente. Nel rientrare a scuola, sul pianerottolo, il P. trovava due bambine che non erano presenti all’adunata e quindi diceva loro di sbrigarsi, di scendere le scale e di raggiungere gli altri bambini, accertandosi con lo sguardo che raggiungessero l’assistente che però non udiva le sue parole di richiamo.

A questo punto il lavoratore scendeva le scale e si dirigeva verso il cancello per accompagnare le bambine allorquando una mamma li presente si recava con lui e le bambine verso il pulmino che si effetti prendevano. Solo quando le bambine erano salite sul pulmino il lavoratore rientrava a scuola.

Assume il lavoratore, quindi, che la motivazione della Corte d’Appello era illogica e contraddittoria in quanto non aveva valutato attentamente le risultanze documentali e le posizioni processuali delle parti.

2.1. Il motivo di ricorso è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. nella L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., n. 27415 del 2018).

Nella specie, la Corte d’Appello, riporta (pag. 4 sentenza di appello) il contenuto della lettera della mamma delle due bambine, allegata alla contestazione disciplinare, nella quale si riferiva che il lavoratore, una volta risalite le scale dopo aver accompagnato i bambini al cancello: “ha incontrato le mie bambine per le scale alle quali ha detto di sbrigarsi altrimenti avrebbero perso lo scuolabus, lasciandole andare da sole verso lo stesso che sosta alla fine di via (OMISSIS)”.

Quindi il giudice di secondo grado (pag. 5 della sentenza di appello) riporta quanto dedotto dal lavoratore stesso nelle giustificazioni, affermando che lo stesso ammetteva di aver incontrato nel tragitto di ritorno le due ritardatarie: “… risalendo sul pianerottolo mi son trovato le due bambine, ho detto loro di scendere le scale e di raggiungere gli altri…”, già accompagnati al punto di raccolta.

Tale fatto (indicazione alle bambine di scendere le scale e raggiungere lo scuolabus da sole) che la Corte d’Appello non ha omesso di considerare, non è smentito dalla narrazione fatta dal P. nell’esposizione del motivo di ricorso, che dunque si limita a una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata, inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il ricorrente, poi, arricchisce il racconto di ulteriori circostanze di cui assume l’omessa considerazione, prive, tuttavia, dell’indicazione della rituale introduzione quali fatti controversi, nelle precedenti fasi del giudizio, nonchè di riscontri istruttori e documentali, limitandosi a richiamare l’atto di giustificazione, senza indicare il luogo di produzione dello stesso e non riproducendone il contenuto, in violazione del principio secondo cui, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (Cass., n. 5478 del 2018).

Ed infatti, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di specificità (cfr., Cass., n. 29093 del 2018).

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume il ricorrente di non aver fatto alcun uso temerario dello strumento giudiziario, e di non aver proposto un’impugnazione pretestuosa, atteso che aveva motivato e documentato le proprie doglianze sia in primo grado che in appello.

Ciò, tenuto conto che l’ordinamento italiano non riconosce il danno punitivo e nella specie non sussisteva nè dolo nè colpa grave.

Il motivo di ricorso censura la statuizione di rigetto del secondo motivo di appello con cui era stata impugnata la condanna per lite temeraria.

3.1. Il motivo è fondato e va accolto.

Occorre ricordare che come affermato da questa Corte a Sezioni unite (sentenza n. 22405 del 2018), la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonchè interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sè legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte.

Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede nè la domanda di parte nè la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

Ciò non si ravvisa nel caso di specie atteso che l’impugnazione di sanzione disciplinare di modesta entità e il mancato accoglimento sia di tale impugnazione che della domanda di risarcimento del danno non integrano di per sè la sussistenza di tali condizioni.

4. La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo motivo e in relazione al motivo accolto cassa in parte qua la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il secondo motivo di appello e annulla la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, della sentenza di primo grado.

5. Compensa per un terzo le spese del giudizio di appello confermando per il resto la liquidazione delle spese di appello.

6. Compensa per un terzo le spese del presente grado che liquida in favore del ricorrente il resto come in dispositivo.

7. Si dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso. Accoglie il terzo motivo e in relazione al motivo accolto cassa in parte qua la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il secondo motivo di appello e annulla la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, della sentenza di primo grado. Compensa per un terzo le spese del giudizio di appello confermando per il resto la liquidazione delle spese di appello.

Compensa per un terzo le spese del presente giudizio liquidando per la residua parte in favore della ricorrente, la somma di Euro 4.000,00, per compensi professionali, Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Si dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2019