I comuni e la scuola dell’infanzia statale

 Alcune riflessioni nel cinquantesimo della Scuola dell’Infanzia statale.   

PRIMA SONO VENUTI I COMUNI, POI LO STATO

Il 18 marzo 1968 con la legge 444, viene istituita in Italia la scuola materna statale. Di essa sono ancora una volta i Comuni (come per la scuola dell’obbligo statale) ad occuparsi dell’edilizia, degli arredi, della mensa, dei trasporti, ecc. Per comprendere questo fatto bisogna andare alle origini della nascita del nostro sistema scolastico nazionale. Già nel 1859, con la Legge Casati, le università e le scuole superiori liceali competono alla Stato e l’istruzione tecnica alle province, mentre la scuola elementare spetta ai comuni, così come avveniva negli altri Paesi occidentali (nel mondo anglosassone e tedesco per molti aspetti tutto è rimasto ancora così). Fino all’età giolittiana le amministrazioni comunali hanno l’obbligo di costruire, mantenere e gestire le scuole elementari, che appunto erano municipali, ed anche di assumere e stipendiare i maestri e le maestre. Con la legge Daneo-Credaro del 1911 si avvia un processo di “avocazione” allo Stato delle funzioni in materia di istruzione primaria, soprattutto nelle aree periferiche dei piccoli e medi comuni. Questo processo di statalizzazione della scuola elementare si compirà definitivamente nel 1933 con il fascismo e così tutto passerà sotto il controllo centralizzato dello stato totalitario.

E la scuola materna? Già nell’800 in diverse città, soprattutto del Nord, accanto alle scuole elementari municipali sono presenti le scuole materne promosse e gestite dai comuni. Si tratta di iniziative promosse da amministrazioni che, con spirito laico e assistenziale, danno una risposta all’educazione dei bambini dei ceti più disagiati.

LE ESPERIENZE DEI  COMUNI APRONO E SEGNANO LA STRADA DELL’INNOVAZIONE PEDAGOGICA DELLE SCUOLE MATERNE/DELL’INFANZIA ITALIANE

Ma è soprattutto negli anni 60 del 900 che diversi comuni si impegnano direttamente nella espansione delle scuole materne per dare una risposta, in assenza dell’intervento statale, alle domande poste dall’aumento del lavoro femminile (sono gli anni del boom economico), dalla ripresa demografica e dai cambiamenti nell’organizzazione familiare. Si tratta di uno sviluppo quantitativo della scuola materna comunale che incontra in quegli anni i fermenti culturali e la spinta alla modernizzazione e alla partecipazione che investono i diversi campi della vita collettiva e personale, che si confronta con le richieste dei nascenti movimenti che rivendicano diritti sociali e civili. La presenza di una scuola comunale che si dimostra aperta all’innovazione incontra l’interesse e la collaborazione della parte più avanzata del mondo della ricerca e dell’università, una quota di mondo sempre più connesso con lo sviluppo della conoscenza a livello internazionale. Tutto ciò alimenta un fermento di idee e di progetti che porta ad un (1) rinnovamento dei contenuti pedagogici e della didattica delle scuole comunali e (2) e la loro apertura alla partecipazione delle famiglie e della cittadinanza per una scuola intesa come comunità democratica.

Questa ventata di rinnovamento manifesta i suoi effetti in tempi brevi nelle scuole comunali, se non altro perché i decisori di “cosa e come devono fare e devono organizzarsi le scuole” non sono a Roma al Ministero, ma in comune a diretto contatto con la loro utenza e con le istanze culturali e sociali del territorio. Pertanto, già negli anni 60, ben prima della nascita della scuola statale, si avviano,  crescono e si fanno conoscere esperienze innovative come quelle del Comune di Reggio Emilia, che negli anni 80 diventerà Reggio Children, cioè l’esperienza di scuola materna/dell’infanzia più quotata in Occidente (provare per credere, se avete modo di girare per scuole dell’infanzia in Europa e interloquire con le insegnanti di quei paesi). Ma il comune di Reggio non era il solo, c’erano pure Bologna, Milano, Torino ed altri comuni soprattutto del Centro-Nord.

Tutto questo diventa importante perché avviene  prima e a cavallo della nascita della scuola materna statale e finisce così per segnare il nuovo profilo pedagogico per la scuola pubblica dei bambini dai 3 ai 6 anni, un profilo molto apprezzato dai genitori che trova molti consensi nella parte più dinamica della ricerca psicopedagogica. Nel 1968 nasce la scuola statale, l’anno dopo vengono approvati gli Orientamenti per l’attività educativa delle scuole materne. Già in quel documento, che è rivolto a tutte le scuole italiane (statali e non), c’è il segno di una pedagogia e di una pratica educativa che ha, in tanta parte, nelle scuole comunali la sua sorgente operativa.

LA PARTECIPAZIONE PRENDE VITA NELLE SCUOLE COMUNALI

Non c’è ombra di dubbio: è dai comuni e non da altri che ha preso avvio e si è affermato nella scuola dell’infanzia un modello di gestione fondato sulla partecipazione, in cui il genitore è considerato partner di una esperienza basata sull’impegno congiunto e sulla solidarietà di quanti provvedono alla cura e all’educazione dei bambini. Il genitore inteso come cittadino, come co-autore dell’impresa educativa, non come cliente. Tutto ciò nasce e si sviluppa nelle esperienze comunali di “gestione sociale” che si affermano a partire da fine anni 60 e contribuiscono ad affermare l’idea di una scuola dell’infanzia che valorizza la partecipazione (dei genitori, delle insegnanti nell’ambito dei rispettivi gruppi di lavoro/collegi docenti, degli stakeholder) in quanto esperienza educativa che si vuole democratica, occasione di crescita personale e collettiva, promotrice di sviluppo di comunità, di capitale sociale individuale e collettivo. Si tratta di un modello che, pur nel declino della partecipazione che si va da anni registrando anche in ambito scolastico, continua ad essere sostenuto nella prospettiva di una scuola cui si assegna il compito di qualificarsi come (si pensi anche al fenomeno immigratorio) “laboratorio di nuova cittadinanza”. Se ci sono ambienti accoglienti, in cui i genitori stanno ancora vicini all’esperienza scolastica dei loro bambini, ebbene questi sono le scuole dell’infanzia e i nidi. Nidi e scuole dell’infanzia stanno insieme in diverse città, all’interno di una stessa gestione istituzionale e pedagogica comunale: fanno già da tempo sistema integrato.

IL SISTEMA INTEGRATO PRIMA DEL DECRETO 65/2017

Il sistema integrato 0-6 anni, appunto. Il decreto 65/2017 istituisce e in parte finanzia a livello nazionale, dopo tanti anni di attesa, il sistema integrato dei servizi educativi per l’infanzia (i nidi) e delle scuole dell’infanzia pubbliche e paritarie. E’ un decreto che si è fatto troppo attendere, perché già da alcuni decenni diversi comuni avevano segnato la strada realizzando modalità collaudate e di successo di collaborazione tra scuola comunale e statale nell’ottica del sistema integrato. Sono collaborazioni che si traducono in protocolli, in patti per la qualificazione dell’offerta formativa cittadina, che prevedono sostegni e interventi diretti da parte del comune per la formazione congiunta delle insegnanti, per la sperimentazione educativa e il supporto alla didattica, per il contrasto al disagio scolastico, per promuovere la genitorialità. E in diversi comuni anche i nidi entrano a far parte con le scuole dell’infanzia del sistema integrato. Un sistema che persegue l’integrazione dei servizi, non la dà come punto di partenza: l’integrazione è sempre il risultato di una operatività che richiede di essere alimentata, oggetto di una necessaria manutenzione, che in diverse realtà locali viene assicurata dall’impegno e dalla regia accorta del comune.

Il decreto 65/2017 riconosce di fatto, per le cose che afferma, il contributo dei comuni nella costruzione del pensiero e della pratica per la realizzazione e la gestione di un sistema integrato dei servizi 0-6 anni. Il decreto, infatti, istituisce (tenendo conto di quanto già realizzato in diversi comuni, anche col contributo delle rispettive Regioni), i coordinamenti pedagogici territoriali, la formazione congiunta degli insegnanti e sollecita il raccordo tra i servizi,  la creazione di percorsi comuni e di continuità educativa 06 anni. E, soprattutto, il decreto 65/2017 assegna ai comuni un ruolo di primo piano nella gestione del sistema integrato territoriale, nel coordinamento della programmazione dell’offerta formativa, nella promozione della formazione in servizio e della partecipazione delle famiglie. Il comune diventa il regista di una cooperazione interistituzionale, dell’alleanza del pubblico col privato, per promuovere la qualificazione del sistema dei servizi e delle scuole dell’infanzia del proprio territorio, nella logica di un welfare comunitario e partecipativo che, nel realizzare servizi, crea comunità, sinergie, collaborazioni.

L’IMPEGNO DEI COMUNI PER LA COSTRUZIONE, IL FUNZIONAMENTO  E LO SVILUPPO DELLA SCUOLA MATERNA STATALE

Le scuole statali nascono e si diffondono grazie al contributo fondamentale dei comuni che costruiscono e mettono a disposizione gli edifici per ospitarle, che ne provvedono alle manutenzioni, si occupano con proprie risorse di tutta la “logistica” (mensa, trasporto, arredi) e si accollano, per 30 anni, anche l’assunzione e la gestione dei collaboratori scolastici (i bidelli). Nello sviluppo della scuola statale c’è pertanto l’intervento imprescindibile dei comuni che investono risorse e personale, provvedono e sostengono. Non è un caso che le scuole statali più attive e qualificate si trovino nei comuni che meglio e più investono nell’educazione dei loro cittadini, che più supportano sul piano della qualificazione le scuole statali e paritarie, i nidi pubblici e privati  in una logica di sistema integrato.

TIRANDO LE SOMME

Il decreto 65/2017, che istituisce il “Sistema integrato di educazione e istruzione per le bambine e i bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni”, porta a compimento e istituzionalizza un modello di sviluppo e di qualificazione della scuola dei più piccoli alla cui ideazione e costruzione i comuni hanno portato un contributo fondamentale.  L’esperienza delle scuole comunali, che hanno anticipato la nascita della scuola materna statale, ha segnato la strada per il rinnovamento della cultura e della pedagogia dell’infanzia nel nostro Paese. Lo sviluppo della scuola materna statale, che i comuni hanno incentivato con investimenti sull’edilizia e il diritto allo studio, ha consentito in modo determinante di diffondere e generalizzare su tutto il territorio nazionale una scuola di qualità, contribuendo alla formazione di un sistema educativo caratterizzato dal pluralismo delle idee pedagogiche e delle realizzazioni concrete, vicino alle istanze e alle esigenze delle comunità locali. L’esperienza ultradecennale di molti comuni nella promozione e gestione di sistemi locali in cui i nidi e le scuole dell’infanzia comunali, statali e paritarie cooperano integrando risorse e progetti, ha contribuito alla formazione dei principi, delle finalità e degli obiettivi strategici del decreto 65/2017. Si tratta di un decreto che non poteva che attribuire ai comuni un ruolo preminente di regia nella costruzione ed implementazione del sistema integrato territoriale. D’altronde l’istituzione dei coordinamenti pedagogici, la formazione congiunta degli insegnanti, la promozione della partecipazione delle famiglie, il supporto alle sperimentazioni costituiscono tutte misure già praticate da molti anni in diversi contesti municipali e regionali, che si sommano con le attribuzioni riconosciute da tempo ai comuni in fatto di programmazione dell’offerta formativa territoriale e di misure per l’autorizzazione e l’accreditamento dei nidi d’infanzia. Con questo decreto si apre una nuova stagione di cooperazione interistituzionale, più definita negli obiettivi e nelle competenze, che richiede a tutti gli attori un atteggiamento aperto alla collaborazione e alla sperimentazione. I comuni saranno in prima linea, non solo perché lo prevede il decreto, ma anche e soprattutto perché lo richiedono le famiglie, gli insegnanti, le comunità locali, i destinatari della qualità educativa e culturale dei nidi e delle scuole dell’infanzia.

Giovanni Faedi, esperto di sistemi formativi e servizi per l’infanzia, già dirigente dei Settori istruzione e Servizi educativi dei comuni di Cesena e Ancona.