Per la Cassazione la TARSU compete alla scuola e non al Comune

 Sentenza Cassazione 9 febbraio 2000, n. 4994  Corte di cassazione – Sezione tributaria –
Sentenza
Sul ricorso proposto
da
Ministero della pubblica istruzione (…)
ricorrente
contro
Comune di Brescia, in persona del Sindaco (…)
resistente
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 284 del 4 marzo-14 maggio 1998
(…)
Svolgimento del processo
Il Ministero della pubblica istruzione nel febbraio 1989 ha citato dinanzi al Tribunale di Brescia il Comune di Brescia sostenendo di non dover corrispondere la tassa per la rimozione dei rifiuti solidi urbani con riguardo agli edifici adibiti a scuole materne statali, in ragione dell’obbligo del convenuto, ai sensi dell’ art. 7 della legge 18 marzo 1968 n. 444, di provvedere alle “spese normali di gestione” di detti edifici, ha chiesto un accertamento negativo della debenza della tassa medesima, e la condanna del Comune al rimborso della somma di lire 10.500.000, per tale titolo versatagli.
Il Tribunale ha respinto la domanda, escludendo che le spese di cui al predetto art. 7 comprendessero la tassa in questione.
La Corte d’appello di Brescia ha respinto il gravame del Ministero, ritenendo applicabile lo ius superveniens di cui alla legge 11 gennaio 1996 n. 23, in relazione alla riferibilità della domanda anche al periodo successivo a quello per il quale era stato reclamato il rimborso di somme pagate, e rilevando che l’ art. 3 di detta legge, nell’elencare le spese di pertinenza dei comuni in ordine alla gestione di quegli edifici, non fa menzione dell’indicata tassa municipale.
L’Amministrazione della pubblica istruzione con ricorso notificato il 17 luglio 1998, ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte di Brescia; con due connessi motivi, torna a sostenere che le spese normali di gestione delle scuole materne, alle quali debbono provvedere i comuni ai sensi dell’art. 7 della citata legge del 1968 e poi dell’ art. 107 del d.lg. 16 aprile 1994 n. 297, includono tutti gli esborsi indispensabili per il funzionamento delle sedi delle istituzioni scolastiche, così abbracciando il costo del servizio di rimozione dei rifiuti, e che analoga portata deve attribuirsi all’art. 3 della sopraggiunta legge n. 23 del 1996, ove fa riferimento, sempre addossandole ai comuni, alle “spese varie d’ufficio”.
Il Comune di Brescia ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
Nella disciplina della scuola materna statale, di cui alla legge 18 marzo 1968. n. 444, sono a carico dello Stato, ai sensi dell’art. 6, gli oneri per la costituzione, l’attrezzatura e l’arredamento degli edifici, mentre sono a carico dei comuni, ai sensi dell’art. 7, la manutenzione, il riscaldamento, le spese normali di gestione e la custodia degli edifici stessi.
Detto art. 7 è stato riprodotto, senza sostanziali modificazioni, con l’art. 107 del d.lg. 16 aprile 1994 n. 297.
Le spese normali di gestione, alla luce della natura delle altre spese enumerate dalle citate norme e della riferibilità della specificazione “degli edifici” a ciascuna voce dell’elenco, sono da ritenersi le spese occorrenti in via ordinaria per preservare i fabbricati scolastici nella loro consistenza e destinazione, non dunque le spese necessarie per l’effettivo svolgimento delle attività d’istruzione che restano di pertinenza dello Stato.
La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, secondo le previsioni degli artt. 268 e 269 del r.d. 14 settembre 1931 n. 1175 (modificati dal D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 e dal d.l. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989 n. 144) e poi degli artt. 58 e segg. del d.lg. 15 novembre 1993 n. 507, integra tributo afferente non all’immobile, ma all’attività produttiva di rifiuti esercitata dall’occupante o detentore dell’immobile medesimo, è quindi dovuta in dipendenza della concreta utilizzazione del fabbricato e non può rientrare fra le spese di gestione di esso.
La legge 11 gennaio 1996 n. 23, sull’edilizia scolastica, devolve ai comuni, con l’art. 3, in attuazione dell’ordinamento delle autonomie locali di cui alla legge 8 giugno 1990 n. 142, la realizzazione, fornitura, manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici da destinare a scuole materne, e fa carico ai comuni medesimi “anche delle spese varie d’ufficio e per l’arredamento, e di quelle per le utenze telefoniche ed elettriche, per la provvista dell’acqua e del gas per il riscaldamento ed i relativi impianti”.
Tale norma inequivocamente amplia le incombenze dei comuni, ed inoltre nella parte in cui fa su di loro gravare oneri attinenti all’effettivo uso degli edifici scolastici, quali quelli relativi alle predette utenze e forniture, introduce specifiche deroghe al principio della ripartizione, fra i comuni medesimi e lo Stato, delle spese rispettivamente riguardanti la gestione degli edifici e la gestione delle attività d’istruzione.
Il carattere eccezionale di tali deroghe osta ad un’esegesi estensiva o ad un’applicazione analogica della norma stessa quando demanda ai comuni le “spese varie d’ufficio”, e quindi esige d’interpretare la relativa espressione in linea con il significato letterale, vale a dire riferita alle spese generali (similari a quelle di arredamento) che occorrano per rendere effettiva la destinazione di determinati locali a sede di scuole, senza alcuna possibilità di comprendere oneri derivanti dal concreto espletamento dell’attività scolastica, quali quelli inerenti alla rimozione dei rifiuti.
Anche nella legge n.. 23 del 1996, dunque, mancano disposizioni in base alle quali l’Amministrazione della pubblica istruzione possa sottrarsi al pagamento della tassa per Io smaltimento dei rifiuti urbani (o possa su altri riversarla), con riguardo alle istituzioni scolastiche che all’Amministrazione stessa facciano capo. La consequenziale debenza della tassa in questione, in assenza di previsione contraria, anche per le scuole materne statali, trova conferma nel rilievo generale che la tassa medesima configura un prelievo di tipo tributario, e che quindi la tesi dell’Amministrazione, traducendosi nell’allegazione di una situazione di esenzione (in presenza di tutti i requisiti occorrenti per l’insorgere della corrispondente obbligazione), non potrebbe prescindere da un’apposita disposizione, che sia inserita nella specificata normativa del tributo o comunque ad esso faccia riferimento.
In conclusione, superandosi la problematica inerente al ricadere del rapporto in contestazione nella normativa del 1968 ovvero (quantomeno in parte) in quella del 1996, si deve respingere il ricorso.
La novità del quesito affrontato rende equa la compensazione delle spese di questa fase processuale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.