Commette un reato il bidello che non cambia il pannolino all’alunno disabile

La questione della competenza dei collaboratori scolastici nell’assistenza di base, materiale e igienica agli alunni disabili è una storia vecchia.           

Di quando in quando, torna alla ribalta con residui episodi di rifiuto, da parte di alcuni addetti, ad eseguire certe mansioni, magari con il pretesto dell’obbligatorietà di un intervento formativo specifico e dell’erogazione di un compenso aggiuntivo.

Lo scorso 30 maggio è stata depositata una sentenza importante, che dovrebbe essere utile a far chiarezza in modo definitivo. Si tratta della sentenza della Corte di Cassazione 19 febbraio 2016, n. 22.786, con la quale è stato stabilito che il collaboratore scolastico che si rifiuta di cambiare il pannolino a un’alunna disabile è punibile per rifiuto di atti d’ufficio e inoltre deve risarcire, per i danni causati, la parte civile, anche se non ha mai ricevuto, per tale mansione, né una formazione specifica né un compenso a ciò finalizzato.

Tre bidelle, nonostante fosse già intervenuta la prescrizione e, quindi, con l’unico fine di ottenere una sentenza assolutoria dal reato ascritto e la cancellazione del risarcimento, avevano presentato ricorso in Cassazione avverso alla condanna già pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli del 29 ottobre 2014. La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza, respingendo puntualmente tutti i motivi del ricorso e confermando sia il reato sia il risarcimento.

Un importante elemento di novità è rintracciabile proprio nella conferma della possibilità di condannare anche penalmente il rifiuto di eseguire le mansioni in questione. La difesa delle bidelle ha insistito molto per convincere i giudici che non può essere ritenuto “incaricato di pubblico servizio” un dipendente in possesso di “una qualifica che comporta unicamente mansioni di natura materiale”, ma il giudice ha ribattuto che tale personale “svolge anche mansioni di vigilanza, sorveglianza degli alunni, guardiania e custodia dei locali, nonché assistenza personal agli alunni con disabilità, che non si esauriscono nell’espletamento di un lavoro meramente materiale, ma che, implicando conoscenza e applicazione delle relative normative scolastiche, sia pure a livello esecutivo, presentano aspetti collaborativi, complementari e integrativi di funzioni pubbliche” che, di conseguenza, “nei limiti di queste incombenze compete a tali figuri professionali la qualifica di incaricati di un pubblico servizio”.

La Corte di Cassazione ha anche affrontato direttamente il tema dell’esigibilità della mansione concludendo in modo netto che “non vi è dubbio che, sulla base di un obbligo contrattuale, le imputate fossero tenute a prestare assistenza alla minore per le sue esigenza igieniche” rigettando la tesi della difesa secondo la quale si sarebbe trattato, invece, di “ funzioni aggiuntive incentivate attribuibili solo al personale di ruolo all’esito di specifici corsi di formazione”.

La sentenza della Cassazione aggiunge un ulteriore, importante, deterrente (la possibilità di condanna penale per rifiuto d’atti d’ufficio) che potrà aiutare in futuro ad evitare il ripetersi di episodi di mancata assistenza.

Massimo Nutini, esperto di politiche educative, istruzione pubblica ed edilizia scolastica