Esenzione ICI alla scuola paritaria solo se non c’è fine di lucro

  Sentenza Corte di Cassazione 12 aprile 2019, n. 10.288  

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Tributaria Civile
Composta dagli ill.mi sig.ri Magistrati:
omissis
ORDINANZA
Sul ricorso 1534-2014 proposto da:
COMUNE DI LIVORNO -ricorrente-
Contro
ISTITUTO omissis
Avverso la sentenza n- 74/2013 della Commissione Tributaria Regionale Sezione Distrettuale di Livorno, depositata il 21 maggio 2013;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 gennaio 2019 dal Consigliere dott. PAOLA D’OVIDIO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. KATE TASSONE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Rilevato che:

1. Con ricorso proposto alla commissione tributaria provinciale di Livorno, l’Istituto delle (omissis) impugnava un avviso di accertamento ICI per le annualità 2004, 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009 riferite a fabbricati destinati ad attività didattiche, eccependo che uno di tali immobili non apparteneva all’Istituto, sebbene ad esso erroneamente intestato negli atti catastali, e che in relazione ad altro immobile, utilizzato per la gestione di una scuola materna paritaria, sussistevano i requisiti sia soggettivi che oggettivi per riconoscere l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, Iett. i), del d.lgs. n. 504/1992.

Il Comune di Livorno si costituiva prendendo atto, quanto al primo immobile, dell’errata intestazione catastale e rinunciando conseguentemente alla pretesa tributaria, mentre insisteva per l’altro immobile, utilizzato per la gestione di una scuola materna paritaria, sostenendo che per quest’ultimo non ricorreva il presupposto del carattere non commerciale dell’attività di educazione ivi svolta.

2. Con sentenza n. 18/06/12, la commissione tributaria provinciale di Livorno accoglieva il ricorso affermando che sussistevano entrambi gli clementi, soggettivo ed oggettivo, per ritenere applicabile l’esenzione prevista dall’art. 7, lett. i) del d.lgs. n. 504/92.

3. Avverso tale pronuncia proponeva appello il Comune di Livorno sostenendo il carattere commerciale dell’attività svolta nell’immobile in questione, a nulla rilevando il fine per il quale veniva posta in essere, e censurando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva attribuito rilevanza alla mancata distribuzione degli utili, trascurando la circostanza che proprio dai bilanci emergeva un’organizzazione professionale, articolata in beni c persone, tesa allo svolgimento di una prestazione di servizi a titolo oneroso nei confronti di un’utenza generica ed indistinta.

4. Con sentenza n. 74/23/13, pronunciata il 18/3/2013 e depositata il 21/5/2013, la commissione tributaria regionale di Firenze, sezione distaccata di Livorno, conferma la sentenza di primo grado, compensando tra le parti le spese processuali.
5. Avverso tale sentenza il Comune di Livorno ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

L’Istituto intimato non ha depositato difese.

Considerato che:

1. Con l’unico motivo di ricorso il Comune di Livorno ha censurato la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione dell’aart. 7, lett. 1), del d.lgs. 504/92. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3. c.p.c.”.

Deduce il Comune ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che le modifiche dell’art. 7 del d.lgs. n. 504/1992 intervenute nel tempo siano state di natura interpretativa e che, pertanto, la formulazione finale della norma debba essere applicata anche per gli anni in cui vigeva il testo originario (nella specie anni 2004 e 2005).

Inoltre, la CTR avrebbe errato anche nell’interpretazione dei vari dettati normativi succedutisi nel tempo, omettendo di rilevare la natura commerciale dell’attività svolta dall’Istituto delle (omissis) , come tale esclusa dall’esenzione per gli anni 2004-2005, ma anche per gli anni successivi, non potendo neppure qualificarsi l’attività in discorso di natura “non esclusivamente commerciale” solo perché priva degli clementi del lucro soggettivo e della libera concorrenza, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata. Irrilevante sarebbe, inoltre, anche il richiamo da parte del giudice di secondo grado alla circolare del Ministero delle Finanze 2/DF del 26/1/2009, sia per la natura non vincolante delle circolari, sia perché superata dal parere del Consiglio di Stato n. 4180 del 4/10/2012 cd in contrasto con la definizione di “attività svolte con modalità non commerciali” resa con il successivo parere del Consiglio di Stato n. 4802 del 13/11/2012.

1.1. Il motivo è infondato

E’ necessario premettere che nella fattispecie vengono in rilievo, in relazione alle diverse annualità di imposta oggetto dell’avviso impugnato, tre disposizioni legislative parzialmente diverse.
In primo luogo rileva l’art 7 comma 1 lett. i) del d.lgs. 504/1992 nel testo vigente dal 01/01/2003 al 03/10/2005, che dispone l’esenzione ICI per «gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 911 e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali. sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222.».
Successivamente, il citato art 7 è stato integrato c modificato, dapprima, dall’art. 7 comma 2 bis del d.l. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2.12.2005, che aveva esteso l’esenzione disposta dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse, e, poi, dall’art. 39 del d.l. n. 223 del 2006, convertito con modificazioni nella l. 248 del 2006 che, sostituendo il comma 2 bis del citato art 7, ha stabilito che l’esenzione disposta dal d.lgs. 504 del 1992 art. 7 comma 1 lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera<<che non abbiano esclusivamente natura commerciale>>.

1.2. Contrariamente a quanto sembra ritenere la CTR, che non ha operato alcuna distinzione e ha affermato genericamente che la normativa successiva avrebbe fissato l’esenzione Ici con riferimento a tutte le ipotesi in cui le attività di cui alla lettera i) dell’art. 7, d.lgs. 546/1992 hanno natura “non esclusivamente commerciale”, le modifiche legislative della norma di cui si discorre non si applicano retroattivamentc, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo (Cass., scz. 5, 16/06/2010, n. 14530, Rv. 613772- 01; Cass., sez. 5, 15/07/2015, n. 14795, Rv. 636054-01).

1.3. In tutte le succcss1ve formulazioni, l’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è comunque subordinata alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato, nella versione vigente sino al 31/01/2005 dell’art. 7 citato, dallo svolgimento “esclusivo” nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, nonché, nelle versioni successive, considerato “a prescindere” dalla natura eventualmente commerciale di tali attività (dal 3 l 1Ol 2005 al 4/7/2006) e, infine, valutato in ragione della natura “non esclusivamente commercia/e” delle medesime attività.

1.4. L’accertamento della natura delle attività in discorso deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale. (V. Cass., sez. 5, 8/7/2015, n. 14226, Rv. 635798-01, che ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva riconosciuto l’esenzione ad una scuola paritaria di ispirazione religiosa, i cui utenti pagavano un corrispettivo, attribuendo erroneamente rilievo alla circostanza che l’attività fosse in perdita).

1.5. Nella specie, la ricorrenza del requisito soggettivo è stata accertata dalla sentenza impugnata, che l’ha ritenuta “fuori discussione e certa”, trattandosi di ente ecclesiastico, con statuizione che non è stata oggetto di censura in questa sede.
Per quanto attiene invece al requisito oggettivo, che costituisce motivo del ricorso proposto dal Comune ricorrente, occorre distinguere in base agli anni di imposta.

1.6. Per gli anni 2004-2005 l’esenzione, vigendo il testo dell’art. 7, lett. i), del d.lgs. 504/92 che subordinava l’esenzione alla compresenza del requisito oggettivo rappresentato dallo svolgimento “esecutivo” nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione, l’esenzione non era dovuta in caso di svolgimento, anche parziale, di attività commerciale.
Non rileva in contrario la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venir meno il carattere commerciale dell’attività (Cass. sez. 5, 20/11/2009, n. 24500, Rv. 610764- 01).

1.7. Quanto alle annualità successive (2007-2009), vengono in rilievo le modifiche, riconosciute dalla giurisprudenza di questa Corte come aventi carattere innovativo (cfr., tra le altre, Cass. n. 14530 del 2010 cit. e Cass. n. 14795 del 2015 cit.), introdotte dall’art. 7, comma 2 bis del d.l. n. 203/2005 e, poi, dall’art. 39 del d.l. n. 223/2006, convertito con modificazioni nella legge n. 248/2006, le quali, escludendo (la prima) il rilievo della natura commerciale dell’attività ovvero (la seconda) richiedendo il requisito della natura non esclusivamente commerciale, devono essere interpretati anche alla luce della loro compatibilità con i principi del diritto dell’Unione Europea.

1.8. Questa Corte (cfr. Cass. civ. sez V, 12/2/2019, n. 4066, Rv. 652784 – 01) ha infatti chiarito che deve tenersi conto della decisione 2013/284/UE della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, ed ha in proposito affermato che l’esenzione ICI prevista in favore degli enti non commerciali dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa unionale ove abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica, dovendo intendersi tale, secondo il diritto dell’Unione, l’attività svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico.

1.9. La citata decisione della Commissione dell’Unione Europea, nel valutare se il d.lgs. 504/1992 art. 7 comma 1, lett. i), in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato ed ha altresì osservato che anche laddove un’attività abbia una finalità sociale, questa non basta da sola ad escluderne la classificazione di attività economica.
Al fine dell’esclusione del carattere economico dell’attività è necessario dunque che quest’ultima sia svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico.

1.10. Con la predetta decisione la Commissione dell’Unione Europea ha valutato la compatibilità delle disposizioni legislative di cui si discorre con l’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato, che dispone: «sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni falsino o minaccino dì falsare la concorrenza>>. Conformemente a tale disposizione, la Commissione ha esaminato: 1) se la misura è finanziata dallo Stato o mediante risorse statali; 2) se la misura conferisce un vantaggio selettivo; 3) se la misura incide sugli scambi tra gli Stati membri e falsi o minacci di falsare la concorrenza.
Ha quindi osservato che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento: pertanto, anche un soggetto che in base alla normativa nazionale è classificato come un’associazione o una società sportiva può essere considerato come un’impresa ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato.
L’unico criterio rilevante al riguardo è se il soggetto interessato svolga o meno un’attività economica.
Inoltre, osserva la Commissione, l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poiché anche un ente senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato.

1.11. L’attenzione della Commissione UE si è poi focalizzata sul comma 2 bis dell’art. 7 citato, (già abrogato all’epoca della decisione) norma che qui viene in rilievo, come si è detto, nelle sua duplice formulazione, per l’anno di imposta 2006 e per gli anni di imposta 2007-2009. La Commissione UE ha dato atto che era stata emanata una circolare ministeriale (29 gennaio 2009) esplicativa dei criteri utili per stabilire quando le attività di cui all’art. 7 lett. i) dovevano essere considerate di natura «non esclusivamente commerciale>>. Se erano soddisfatte le condizioni indicate nella circolare, gli enti non commerciali erano esentati dall’I CI anche quando le attività da essi svolte presentavano elementi di natura economica. In particolare, per quanto qui interessa, con riferimento alle attività didattiche, i criteri indicati dalla circolare ministeriale citata prevedevano che la scuola doveva soddisfare gli standard di insegnamento, accogliere alunni portatori di handicap, applicare la contrattazione collettiva e garantire la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni; gli eventuali avanzi di gestione, inoltre, dovevano essere reinvestiti nell’attività didattica: ebbene, nemmeno questi requisiti, ha affermato la Commissione UE, escludono la natura economica delle attività didattiche svolte secondo le modalità indicate.
1.12. La Commissione ha altresì precisato che la natura non economica dell’istruzione pubblica non viene in linea di principio contraddetta dal fatto che talvolta gli alunni o i loro genitori debbano versare tasse scolastiche o di iscrizione, che contribuiscono ai costi di esercizio del sistema scolastico, purché tali contributi finanziari coprano solo una frazione del costo effettivo del servizio e non possano pertanto considerarsi una retribuzione del servizio prestato: condizione che la Commissione ha ritenuto senz’altro soddisfatta in caso di previsione di rette di importo simbolico.
1.13. Sulla base di tali considerazioni, la Commissione U E ha ritenuto che la misura in esame sia all’origine di una perdita di risorse statali nella misura in cui, garantendo un’esenzione fiscale, concede un vantaggio selettivo agli enti non commerciali che svolgono determinate attività. La misura deve quindi essere considerata aiuto di Stato, incompatibile con il Trattato, mentre l’esenzione fiscale prevista dal nuovo regime dell’imposta municipale unica, applicabile dal 1 gennaio 2012, non costituisce un aiuto di Stato.
La Commissione non ha tuttavia ordinato il recupero delle somme, ritenendolo impossibile. Tuttavia, questa parte della decisione, che sembrava chiudere il capitolo dell’aiuto di Stato illegittimamente concesso in virtù della norma in esame con una sorta di sanatoria, è stata annullata dalla recente sentenza della CGUE del 6 novembre 2018, (cause riunite C-622/16 P – C-623/16 P, C-624/16 P) dove si è evidenziato che l’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità c che diversamente si farebbero perdurare gli effetti anticoncorrenziali della misura; in particolare la CG UE ha ricordato che le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale.
Ciò impone al giudice nazionale una ancora maggiore attenzione nella decisione delle cause pendenti, per evitare che si produca l’effetto, in assoluto contrasto con i principi sopra enunciati, di attribuire oggi, in presenza di questo arresto della giurisprudenza europea, un vantaggio indebito, tramite una illegittima esenzione dal tributo.

1.14. Così ricostruita la portata e l’efficacia del dato normativo applicabile alla fattispecie, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, deve concludersi che il giudice d’appello ha fatto una non corretta applicazione della norma, così come essa deve leggersi ed intendersi alla luce della giurisprudenza nazionale e dei principi di diritto comunitario, in quanto, per tutte le annualità oggi in esame, non è stata correttamente valutata la ricorrenza del presupposto oggettivo per l’esenzione dall’ICI.
Infatti, in conformità ai principi sopra indicati, si devono considerare irrilevanti -ai fini tributari- le argomentazioni con le quali la CTR ha escluso la commercialità dell’attività esercitata nell’immobile di cui è causa, basandosi esclusivamente sulle indicazioni fomite dalla Circolare del Ministero delle Finanze n. 2/D del 20/1/2009, ed in particolare sulla assenza del lucro soggettivo e della libera concorrenza e sulla presenza di finalità di solidarietà sociale, nonché sul rilievo, fatto proprio dalla sentenza impugnata, che “una scuola meritevole di esenzione deve essere paritaria, non deve essere discriminatoria in fase di accesso e non deve chiudere con un risultato superiore al pareggio economico ovvero deve reimpiegare gli avanzi di gestione nella stessa attività didattica”, criteri che la CTR ha ritenuto soddisfatti nel caso in esame ma che, per quanto sopra evidenziato, non possono ritenersi idonei ad escludere la natura economica delle attività didattiche svolte, essendo altresì necessario verificare la gratuità di tali attività ovvero che gli eventuali importi versati dagli alunni o dai loro genitori siano, per la loro entità, inidonei a costituire una retribuzione del servizio prestato. Tale ulteriore e puntuale accertamento di fatto, da condurre in modo rigoroso, non è stato svolto nella sentenza impugnata.

1.15. Il ricorso merita quindi accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, per accertare in concreto, con criteri di rigorosità ed alla luce della giurisprudenza nazionale e dei principi eurounitari sopra ricordati, la natura economica o non economica dell’attività didattica svolta nell’immobile di cui è causa, verificando in particolare se tale attività sia stata prestata a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un importo simbolico, tale comunque da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio e da non poter essere pertanto considerato una retribuzione del servizio prestato. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla CTR della Toscana in diversa composizione.
Così deciso in Roma, dalla 5° sezione civile della Corte di cassazione, il 23 gennaio 2019.

IL PRESIDENTE
DOMENICO CHINDEMI
DEPOSITATO IN CANCELLERIA 12 APRILE 2019