USR Miur Piemonte sulle istanze per il pasto domestico

Nota Miur USR Piemonte 7 agosto 2019, n. 8539  

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte

IL DIRETTORE GENERALE

Ai Dirigenti delle Istituzioni Scolastiche Statali del primo ciclo di istruzione
Loro Sedi
E, p.c.
Ai Dirigenti degli Ambiti territoriali dell’USR per il Piemonte
Loro Sedi

Oggetto: Consumo del pasto domestico nelle scuole. Corte Suprema di Cassazione, Sezione Unite Civili, sentenza 2 luglio 2019, n. 20504. Accoglimento ricorsi promossi dal MIUR e dalla Città di Torino. Istanze di partecipazione al procedimento amministrativo.

In relazione all’oggetto, stanno pervenendo per conoscenza a questo Ufficio numerose istanze di partecipazione al procedimento amministrativo rivolte alle SS.LL. da parte di genitori che, avendo scelto il tempo pieno e prolungato, intendono avvalersi dell’autorefezione scolastica. Tali istanze si propongono di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa rimesse alla competenza delle SS.LL.
Preliminarmente, rinviando per il quadro di sintesi delle statuizioni più importanti in essa contenute alla nota n. 8292 del 31 luglio 2019, è utile in questa sede richiamare il principio di diritto statuito dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezione Unite Civili, nella sentenza 2 luglio 2019, n. 20504:
«un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile e, quindi, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado, i quali possono esercitare diritti procedimentali, al fine di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell’amministrazione pubblica».
Le scuole, difatti, «nell’ambito dell’autonomia organizzativa oltre che didattica che è loro conferita dalla legge, possono istituire il servizio mensa che è un servizio pubblico a domanda individuale (d.m. 31 dicembre 1983, p. 10), prestato in favore degli alunni che hanno optato per il tempo pieno e prolungato e, quindi, accettato l’offerta formativa comprendente la mensa. In tal modo le famiglie hanno esercitato una libertà di scelta educativa, dalla quale scaturisce il loro diritto di partecipazione al procedimento amministrativo per influire sulle modalità di gestione del servizio pubblico di mensa (ai fini dell’individuazione dell’impresa che lo gestisce e dei cibi offerti), ma non il diritto sostanziale di performarlo secondo le proprie esigenze individuali».
Il procedimento amministrativo di cui trattasi, da condurre secondo i principi dettati dalla legge n. 241 del 1990, e s.m.i., ad avviso dei giudici del Supremo Collegio, è «la sede nel quale effettuare le opportune valutazioni, anche di natura tecnica, nella ricerca del più corretto bilanciamento degli interessi individuali di coloro che chiedono di consumare il cibo portato da casa con gli interessi pubblici potenzialmente confliggenti, tenuto conto delle risorse a disposizione dell’amministrazione».
Il provvedimento conclusivo dell’iter procedimentale avviato su istanza di parte, deve dare conto obbligatoriamente agli interessati degli esiti di detto bilanciamento tra interessi contrapposti e dei motivi che hanno portato l’Amministrazione (id est, l’istituzione scolastica) a dirimerne il conflitto assegnando prevalenza agli uni o agli altri.
Se si leggono con attenzione le statuizioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite, in esse sono rinvenibili gli indici logici e giuridici che possono guidare l’organo competente nella istruttoria, valutazione e motivazione delle scelte che verranno adottate con il provvedimento finale.
Ad avviso dello scrivente Ufficio, può soccorrere al riguardo il concetto di sostenibilità delle modalità di gestione della mensa da parte delle singole istituzioni scolastiche autonome, tenuto conto delle risorse a disposizione e della necessità di garantire il buon andamento del servizio considerato nel suo complesso, a partire dalle esigenze correlate alla piena realizzazione degli obiettivi educativi del progetto formativo sottostante all’offerta del tempo pieno e prolungato, secondo l’ordinamento vigente, i quali, nel concorrere a determinare la qualità degli apprendimenti, assicurano l’effettivo esercizio del diritto all’istruzione e incarnano l’interesse pubblico primario da perseguire.
E difatti, richiamando sempre la sentenza in parola, «se il servizio mensa è compreso [….] nel tempo scuola, è perché esso condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui è parte, come evidenziato dalla ulteriore funzione cui detto servizio assolve, di educazione all’alimentazione sana, come previsto dal decreto legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito in legge 8 novembre 2013, n. 128», finalità a cui concorre quella di socializzazione, «che è tipica della consumazione del pasto insieme, cioè in comunità, condividendo i cibi forniti dalla scuola, pur nel rispetto (garantito dal servizio pubblico) delle esigenze individuali determinate da ragioni di salute o di religione […] il pasto non è un momento di incontro occasionale di consumatori di cibo, ma di socializzazione e condivisione (anche e non soltanto del cibo), in condizioni di uguaglianza, nell’ambito di un progetto formativo comune. E questa è la ragione per cui il tempo della mensa fa parte del “tempo scuola”».
Inoltre, come si diceva, sostenibilità delle modalità di gestione del servizio mensa significa ponderata valutazione non solo degli oneri aggiuntivi che l’accoglimento delle istanze dei genitori favorevoli al pasto domestico potrebbe determinare, in termini di aggravio di risorse sia finanziarie che di personale, ma anche dell’esigenza che l’istituzione scolastica sia messa in condizione di «controllare le fonti generatrici della responsabilità, contrattuale o da contatto sociale, cui essa è esposta per i danni subiti dagli alunni (Cass. 28 aprile 2017, n. 10516), provvedendo all’organizzazione del servizio pubblico di istruzione reso al pubblico» (pag. 21 della sentenza).
In sede di istruttoria del procedimento in esame, un valore rilevante potrebbe assumere l’esperienza pregressa di convivenza del pasto collettivo con quello individuale, maturata medio tempore e senza conflitti durante l’attesa del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, sempreché, valutati positivamente gli indici sopra richiamati, gli assetti organizzativi consentano, senza ulteriori oneri aggiuntivi, di proseguirla e a condizione che il cibo portato da casa sia consumato negli stessi luoghi in cui viene erogato il servizio di mensa, «in condizioni di uguaglianza, nell’ambito di un progetto formativo comune».
Si rammenta anche che gli istanti, a norma degli articoli 10 e 11 della legge n. 241 del 1990, e s.m.i., hanno diritto di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’articolo 24 e di presentare memorie scritte e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. In accoglimento di osservazioni e proposte così presentate l’istituzione scolastica può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.
La competenza a giudicare sulle controversie relative alla materia in esame, trattandosi di provvedimenti della P.A. che incidono su interessi legittimi, e non dunque su diritti soggettivi perfetti e incondizionati, come ha definitivamente chiarito il Supremo Consesso della Corte di Cassazione, spetta al giudice amministrativo. La scelta adottata dall’istituzione scolastica ad esito del procedimento di cui trattasi può essere oggetto di impugnazione se viziata da violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere. Assume rilevanza a tale proposito l’inosservanza delle norme generali che regolano l’attività amministrativa, in particolare l’obbligo di motivare i provvedimenti, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, sancito dall’articolo 3 della più volte citata legge n. 241 del 1990, secondo cui «la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria».
Adempiere in modo corretto a tale obbligo consente, infine, di rendere più solido l’utilizzo della discrezionalità amministrativa, anche tecnica, che le SS.LL., devono, in forza delle norme attributive del potere, esercitare per compiere le scelte finali, riducendo il rischio di incorrere nel vizio di eccesso di potere e rafforzando in tal modo la tenuta giurisdizionale dei provvedimenti adottati.

IL DIRETTORE GENERALE
Fabrizio MANCA