Tempo pieno in crisi. Ma sarà vero?

   da www.scuola7.it

Non più posti aggiuntivi nella prossima finanziaria

Bianca Laura Granato, Senatrice 5 stelle e segretaria della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica e beni culturali) ha anticipato che l’incremento dei posti per il tempo pieno non sarà più finanziato già a partire dalla prossima legge di bilancio per il 2020.

Se il governo darà seguito a questa intenzione, si potrà osservare che, in un solo anno, si è passati dall’annuncio del “tempo pieno per tutti gli alunni della primaria” al momento della stesura del Documento di Economia e Finanza nell’ottobre 2018, al “graduale incremento” previsto nella Finanziaria del dicembre 2018, fino al completo abbandono, ipotizzato in questi giorni.

I duemila posti finanziati nel dicembre 2018

La legge 30 dicembre 2018, n. 145 (finanziaria 2019), all’art. 1, infatti, aveva stabilito, al c. 728, che “Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite le modalità per incrementare il tempo pieno nella scuola primaria” e previsto, al successivo c. 729, che “il limite di spesa di cui all’articolo 1, comma 201, della legge 13 luglio 2015, n. 107, è incrementato in misura corrispondente a 2.000 posti aggiuntivi nella scuola primaria“.

Nei mesi successivi, i provvedimenti attuativi avevano ripartito il personale aggiuntivo tra le diverse regioni, nel modo seguente: “Abruzzo – 57; Basilicata – 15; Calabria – 81; Campania – 276; Emilia Romagna – 118; Friuli Venezia Giulia – 35; Lazio – 146; Liguria – 35; Lombardia – 262; Marche – 59; Molise – 14; Piemonte – 112; Puglia – 187; Sardegna – 50; Sicilia – 261; Toscana – 90; Umbria – 35; Veneto – 167“.

“Non ci sono state le richieste”…

In questi giorni, la Senatrice Granato ci ha informati che “Non ci sono state le richieste che ci si aspettava, anche per le gravi carenze edilizie. Mancano edifici e locali adeguati, i ragazzi sarebbero costretti a trascorrere il loro tempo in scuole poco funzionali se non addirittura poco sicure. E così le famiglie preferiscono che i propri figli escano da scuola prima dell’orario del pranzo”.

Al momento non sono stati resi noti i dati sulle sezioni attivate, regione per regione, ma la spiegazione appare poco convincente. Negli Uffici Scolastici Regionali c’è chi dice che i 2.000 posti sono andati a ruba e che ne sono “avanzati” solo poche decine nella regione Sicilia, immediatamente ridistribuiti nelle altre regioni del sud. Allora ci si deve chiedere se davvero non c’è stata domanda da parte degli utenti (e quindi non esisterebbe quel “ritorno di fiamma” del tempo pieno di cui ha parlato Giancarlo Cerini) e se davvero non è stato possibile attivare le nuove sezioni per carenze edilizie e problemi di sicurezza. E, in questo secondo caso, che differenza potrebbe fare il modello scolastico adottato, se l’edificio non fosse sicuro…

…o si stanno racimolando risorse?

Oppure, ancora, si vuole abbandonare la scelta di potenziare il tempo pieno e utilizzare le risorse per altri scopi? Questo trasparirebbe, anche, da un’altra affermazione della stessa Senatrice, secondo la quale “Ci sono delle priorità e bisogna investire proprio nell’edilizia scolastica“.

La generalizzazione del tempo pieno, come noto, sarebbe costata ben 50.000 posti aggiuntivi; la soddisfazione della domanda stimata (i dati sulla domanda espressa non esistono, in quanto le modalità di iscrizione tendono a orientare gli utenti sull’offerta disponibile) avrebbe richiesto 20.000 posti; il graduale incremento programmato si sarebbe realizzato con 2.000 posti per anno. Anche questo obiettivo minimo potrebbe essere abbandonato con la prossima finanziaria. E viene il dubbio che il problema stia proprio nell’indisponibilità delle risorse, visto che lo stesso Ministro, inaugurando il “Maker Faire Rome” lo scorso 18 ottobre ha affermato che “allo stato attuale i fondi per la scuola e l’università sono insoddisfacenti” aggiungendo che “il dibattito continua e nei prossimi giorni continuerà il mio impegno per portare a scuola, università e ricerca i finanziamenti che servono”.

Ma di chi è la colpa?

Non manca, infine, un duro attacco agli enti locali. Dice la Senatrice: “Ci sono 11 miliardi da spendere fermi nei meandri degli uffici. I Comuni, soprattutto quelli del sud, devono attivarsi per spenderli, ne va della sicurezza dei nostri alunni e del futuro della scuola italiana”.

Sicuramente non si farà attendere la replica da parte dell’Associazione Nazionale dei Comuni (ANCI) che da tempo afferma, all’opposto, che “Sono tante le risorse per l’edilizia scolastica stanziate negli ultimi anni rimaste nelle casse dello Stato perché i diversi provvedimenti attuativi, di riparto o di assegnazione o di autorizzazione all’avvio delle procedure di spesa, sono rimasti fermi sui tavoli dei diversi ministeri incagliati nell’acquisizione di firme, di concerti, di controlli, di bollinature, di pubblicazioni…”