Il nido gratis si può

 Deliberazione Corte dei Conti Veneto 27 novembre 2019, n. 339

REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL VENETO

Nell’adunanza del 20 novembre 2019 composta dai membri: Salvatore PILATO Presidente Elena BRANDOLINI Consigliere Maria Laura PRISLEI Consigliere Amedeo BIANCHI Consigliere relatore Maristella FILOMENA Referendario Marco SCOGNAMIGLIO Referendario

VISTO l’art. 100, secondo comma, della Costituzione; VISTO il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; VISTA la Legge 14 gennaio 1994 n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;
VISTO il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti modificato da ultimo con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229 del 19 giugno 2008 con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria la Sezione regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000;
VISTA la Legge 5 giugno 2003 n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge cost. 18 ottobre 2001 n. 3”, ed in particolare, l’art. 7, comma 8;
VISTI gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie nell’adunanza del 27 aprile 2004, come modificati e integrati dalla delibera n. 9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009 e, da ultimo dalla deliberazione delle Sezioni Riunite in sede di controllo n. 54/CONTR del 17 novembre 2010;
VISTA la richiesta di parere inoltrata dal Sindaco del Comune di Spresiano prot. n. 21207 del 16/10/2019, acquisita al prot. C.d.c. n. 0009582-16/10/2019SC_VEN-T97-A;
VISTA l’ordinanza del Presidente n. 56/2019 di convocazione della Sezione per l’odierna seduta;
UDITO il Magistrato relatore, Consigliere Amedeo Bianchi;

FATTO

Il Comune di Spresiano (TV) ha trasmesso una richiesta di parere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003 n. 131, concernente la possibilità di utilizzo degli istituti di cui all’art 12 della Legge n. 241/1990 al fine, tra l’altro, di dare attuazione alle politiche agevolative a favore delle famiglie, per garantire la sostanziale gratuità dei servizi educativi dell’infanzia forniti dagli istituti presenti sul territorio di propria competenza.
La richiesta di parere richiama alcune norme di riferimento, in particolare l’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, la Legge n. 107/2015 rubricata “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” e alcune norme del successivo D.Lgs. n. 65/2017 concernente il “Piano di azione nazionale pluriennale per la promozione del Sistema integrato di educazione e di istruzione.”
Detta richiesta di parere si conclude con la seguente istanza: “ … chiede, a codesta spettabile Sezione Regionale di controllo per il Veneto, tutto quanto premesso, se è possibile che, nell’ambito della disciplina generale che regola la concessione di contributi alle famiglie, un Comune possa adottare misure finalizzate all’abbattimento integrale delle rette di frequenza che le famiglie sostengono per l’iscrizione dei figli alle scuole dell’infanzia indipendentemente dalla sussistenza in capo alla famiglia di uno stato di disagio economico-sociale.”
Preliminare all’esame nel merito della questione sottoposta al vaglio di questa Sezione, la Corte è tenuta a verificarne l’ammissibilità, ovvero, la sussistenza, nel caso di specie, del presupposto soggettivo (ossia della legittimazione del richiedente) e di quello oggettivo (attinenza della materia oggetto del quesito alla contabilità pubblica, carattere generale ed astratto della questione sottoposta, non interferenza dell’attività consultiva con altre funzioni della Corte dei conti o di altre giurisdizioni).
In relazione ai predetti presupposti deve richiamarsi innanzitutto l’art. 7, comma 8, della Legge n. 131 del 05 giugno 2013 secondo il quale i soggetti giuridici legittimati alla richiesta di parere sono le Regioni, i Comuni, le Province e le Città Metropolitane, prevedendo espressamente che “Le Regioni possono richiedere ulteriori forme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica.
Analoghe richieste possono essere formulate, di norma, tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito, anche da Comuni, Province e Città Metropolitane” ed, altresì, i criteri elaborati dalla Corte dei conti con atto di indirizzo approvato dalla Sezione delle Autonomie nell’adunanza del 27 aprile 2004, nonché con successive deliberazioni n. 5/SEZAUT/2006 del 10 marzo 2006, n. 54/CONTR/2010 (SS.RR. in sede di Controllo) e, da ultimo, con deliberazione n. 3/SEZAUT/2014/QMIG, intervenute sulla questione nell’esercizio della funzione di orientamento generale assegnata dall’art. 17, comma 31, del D.L. 1 luglio 2009 n. 78 convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 agosto 2009 n. 102. La Corte dei conti ha stabilito, infatti, che, ai fini dell’ammissibilità della richiesta formulata, devono sussistere contestualmente le seguenti condizioni:
• la richiesta deve essere formulata dall’organo politico di vertice e rappresentante legale degli enti legittimati alla richiesta (Regione, Città Metropolitana, Provincia, Comune);
• il quesito deve rientrare esclusivamente nella materia della contabilità pubblica, che può assumere un “ambito limitato alla normativa e ai relativi atti applicativi che disciplinano, in generale, l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli” (Sez. Autonomie, deliberazione n. 5/AUT/2006);
• il quesito deve avere rilevanza generale e astratta, non deve implicare valutazioni di comportamenti amministrativi o di fatti già compiuti né di provvedimenti formalmente adottativa non ancora eseguiti, non deve creare commistioni con le altre funzioni intestate alla Corte, né contenere collegamenti con le funzioni giurisdizionali e requirenti della Corte dei Conti o con eventuali giudizi pendenti innanzi alla magistratura penale, civile o amministrativa.
Costituisce ius receptum il principio secondo il quale la richiesta di parere, pur essendo senz’altro di norma originata da un’esigenza gestionale dell’Amministrazione, debba essere finalizzata ad ottenere indicazioni sulla corretta interpretazione di principi, norme ed istituti riguardanti la contabilità pubblica.
È esclusivo onere dell’Amministrazione, infatti, applicare le norme al caso di specie, non potendo, al contrario, la richiesta di parere essere diretta ad ottenere indicazioni concrete per una specifica e puntuale attività gestionale, e dunque ogni valutazione in merito alla legittimità e all’opportunità dell’attività amministrativa resta in capo all’ente. In altri termini, ai fini dell’ammissibilità dell’esercizio della funzione consultiva, il parere non deve indicare soluzioni alle scelte operative discrezionali dell’ente, ovvero, determinare una sorta di inammissibile sindacato in merito ad un’attività amministrativa in fieri, ma deve individuare o chiarire regole di contabilità pubblica (cfr., ex multis, Sezione Lombardia n. 78/2015/PAR, Sezione Trentino-Alto Adige/Südtirol – sede di Trento, n. 3/2015/PAR).
Alla luce di quanto sopra premesso, pertanto, dovranno ritenersi inammissibili le richieste di parere concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici, tali da determinare un’ingerenza della Corte dei conti nella concreta attività dell’Ente e, in ultima analisi, configurare una compartecipazione all’amministrazione attiva, incompatibile con la posizione di terzietà e di indipendenza della Corte nell’espletamento delle sue funzioni magistratuali, anche di controllo. Del pari, non potranno ritenersi ammissibili richieste di parere per la cui soluzione “non si rinvengono quei caratteri – se non di esclusività – di specializzazione funzionale che caratterizzano la Corte in questa sede, e che giustificano la peculiare attribuzione da parte del legislatore” (cfr. Sezione delle Autonomie delibera n. 3/2014), né istanze che, per come formulate, si sostanzino in una richiesta di consulenza di portata generale in merito tutti gli ambiti dell’azione amministrativa.
L’ausilio consultivo, inoltre, deve essere preventivo rispetto all’esecuzione da parte dell’ente di atti o attività connesse alla questione oggetto di richiesta di parere. Non è, quindi, ammissibile l’esercizio ex post della funzione consultiva. Tutto ciò premesso, sotto il profilo soggettivo, la richiesta di parere deve ritenersi ammissibile, in quanto sottoscritta dal Sindaco dell’Ente, organo politico e di vertice, rappresentante legale del medesimo. Si precisa, a tal proposito, che la stessa è stata trasmessa direttamente dall’Ente richiedente e non già per il tramite del Consiglio delle autonomie locali, organo previsto dal vigente art. 123 della Costituzione. Ciò, comunque, non inficia l’ammissibilità della richiesta atteso che la formulazione dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003 n. 131 non preclude un rapporto diretto tra le amministrazioni e le Sezioni Regionali di controllo della Corte dei conti.

Quanto al profilo oggettivo, va evidenziato che la richiesta deve essere giustificata da un interesse dell’ente alla soluzione di una questione giuridica incerta e controversa, a carattere generale e astratto.
Secondo un principio ampiamente consolidato, inoltre, la funzione consultiva non può risolversi in una surrettizia forma di coamministrazione o di cogestione incompatibile con la posizione di neutralità e di terzietà della magistratura contabile.
Ne consegue che il parere viene reso unicamente avuto riguardo esclusivo alle questioni di natura generale ed astratta, e non può essere interpretato quale intervento atto a validare eventuali determinazioni in itinere, ovvero già assunte o atti già adottati ex post.
Dal punto di vista oggettivo, questa Sezione ritiene di poter dichiarare ammissibile la richiesta del Comune di Spresiano poiché la nozione di “materia di contabilità” comprende non solamente gli atti e le operazioni di bilancio in senso stretto ma anche le gestioni finanziarie ed economico-patrimoniali secondo una “visione dinamica dell’accezione di contabilità pubblica” che sposta l’angolo di visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri di finanza pubblica.
Si ritiene pertanto che la richiesta di parere in esame concerna direttamente il corretto utilizzo di risorse e l’utilizzo di denaro pubblico tramite elargizione di somme a titolo di sussidi, contributi a persone fisiche, e dunque si inquadra nella più in generale tematica di contenimento della spesa pubblica e del mantenimento degli equilibri di bilancio, ai fini di una sana gestione finanziaria dell’ente, come confermato dalla giurisprudenza contabile formatasi sull’argomento. Premesso quanto sopra in ordine alla delimitazione di competenza della Corte nell’ambito dell’attività consultiva, e dunque non potendo sindacare nel merito le eventuali scelte dell’ente (pregresse o future), né valutare l’esistenza dei presupposti che consentono di esprimersi sulla legittimità dell’azione amministrativa gestionale, questa Sezione procede all’esame del quesito formulato dall’Amministrazione comunale, astraendolo da ogni riferimento all’eventuale fattispecie concreta sottostante, offrendo unicamente una lettura interpretativa delle norme di contabilità pubblica che regolano la materia in oggetto.

DIRITTO

Nel merito, per rispondere al quesito posto dal Comune di Spresiano, appare preliminarmente necessario illustrare sinteticamente il quadro normativo di riferimento, che involge in primis norme di carattere nazionale, e in secondo luogo norme di carattere regionale (art. 117 Cost.), in un’ottica tuttavia di unitarietà offerta dal dettato costituzionale, dal quale si ricavano i principi generali dell’ordinamento vigente e sulla scorta dei quali devono essere interpretate tutte le disposizioni di rango inferiore.
Ogni tipo di analisi relativa al quesito posto dal Comune di Spresiano, pertanto, non può che prendere avvio dalle norme costituzionali, e nello specifico dall’art 3 della Costituzione della Repubblica il quale prevede che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana …. e dal successivo art. 34 il quale statuisce, nei suoi quattro commi, le seguenti regole “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Non meno importante appaiono l’art. 30 della Costituzione il quale statuisce il diritto dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, e il successivo art. 31 il quale prevede che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. La fattispecie presa in considerazione dal Sindaco del Comune richiedente concerne tutti i servizi educativi per l’infanzia, le scuole dell’infanzia e gli asili nidi, strutture queste ultime che rientrano, a loro volta, a pieno titolo, nel concetto di scuola e dunque di formazione propriamente intesa.
A tal proposito, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi sulla questione, affermando che “il servizio fornito dall’asilo nido non si riduce ad una funzione di sostegno alla famiglia nella cura dei figli o di mero supporto per facilitare l’accesso dei genitori al lavoro, ma comprende anche finalità formative, essendo rivolto a favorire l’espressione delle potenzialità cognitive, affettive e relazionali del bambino”- La Corte ha evidenziato, del pari, l’assimilazione “ad opera della legislazione ordinaria, delle finalità di formazione e socializzazione perseguite dagli asili nido rispetto a quelle propriamente riconosciute alle istituzioni scolastiche” (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 467/2002 e sent. n 370/2003.) Fatte queste debite premesse di carattere generale, appare opportuno passare in rassegna le norme di rango primario vigenti in tale materia, le quali dovranno essere interpretate, per l’appunto, in un’ottica costituzionalmente orientata e che dia piena attuazione ai principi sopra esposti
In primo luogo, si deve evidenziare come recentemente il legislatore con Legge 13 luglio 2015 n. 107, concernente la “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”, abbia conferito al Governo una delega al fine di provvedere al riordino, alla semplificazione e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione, prevedendo, tra l’altro, espressamente all’art. 1, comma 181, lett. e), punto 3, l’esclusione dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia dai servizi a domanda individuale.
Tale ultima disposizione appare innovativa rispetto alla precedente regolamentazione sui servizi a domanda individuale. Infatti, con D.M. del 31 dicembre 1983 emanato in attuazione dell’art. 6 comma 3, del D.L. 28 febbraio 1983 n. 55, convertito dalla Legge n. 131/1983 rubricato “Individuazione delle categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale”, il Ministro dell’Interno, di concerto con i Ministri del Tesoro e delle Finanze, aveva inserito, nella predetta tipologia di servizi, anche quelli concernenti gli asili nido.
Il citato D.M. offriva, inoltre, la definizione della fattispecie “servizi a domanda individuale” ricomprendendovi tutte quelle attività, gestite direttamente dall’ente, poste in essere non per obbligo istituzionale, utilizzate a richiesta dell’utente e non dichiarate gratuite dalla legge. Tornando alla Legge delega n. 107 del 2015, si evidenzia che alla stessa ha fatto seguito l’emanazione del Decreto Legislativo n. 65 del 2017 avente ad oggetto l’“Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181 lett. e) della legge 13 luglio 2015 n. 107”, con il quale è stato istituito il Sistema integrato di educazione e di istruzione per i bambini e bambine dalla nascita fino ai sei anni, allo scopo precipuo di sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività apprendimento, garantendo inoltre pari opportunità di educazione, di istruzione, di cura, di relazione e di gioco, al fine di superare le disuguaglianze e le barriere territoriali, economiche, etniche e culturali. In particolare l’art. 2, concernente l’“Organizzazione del Sistema integrato di educazione e di istruzione”, prevede una complessa articolazione, costituita sia dai servizi educativi per l’infanzia, sia dalle scuole dell’infanzia statali e paritarie.
La disposizione elenca dunque le strutture che compongono il predetto sistema integrato, individuando e ricomprendendo, a tal proposito, i nidi e i micronidi, le sezioni primavera ed i servizi integrativi. Il comma 4 del citato articolo precisa, inoltre, che i servizi educativi sono gestiti dagli enti locali in forma diretta o indiretta, da altri enti pubblici o da soggetti privati, mentre, stabilisce che le sezioni primavera possano essere gestite anche dallo Stato.
Rimandando alla lettura degli artt. da 5 a 7, per ciò che riguarda l’individuazione delle specifiche funzioni e compiti assegnati rispettivamente allo stato, alle regioni e agli enti locali in tale settore, di maggiore interesse per la prospettazione del quesito proposto dal Comune di Spresiano appaiono le disposizioni di cui all’art. 8, rubricato “Piano di azione nazionale pluriennale per la promozione del Sistema integrato di educazione e di istruzione”.
L’articolo, al comma 1, ribadisce l’obiettivo del legislatore di raggiungere, tramite l’adozione del c.d. Piano di azione, l’esclusione dei servizi educativi per l’infanzia dai servizi pubblici a domanda individuale di cui all’art. 6 del D.L. 28 febbraio 1983 n. 55 e, al successivo comma 4, statuisce che “Gli interventi previsti dal Piano di azione nazionale pluriennale sono attuati, in riferimento a ciascuno degli enti destinatari e a ciascuna delle specifiche iniziative, in base all’effettivo concorso, da parte dell’ente medesimo, al finanziamento del fabbisogno mediante la previsione delle risorse necessarie, per quanto di rispettiva competenza.”
Dirimente per l’analisi in oggetto, tuttavia, sono senza ombra di dubbio, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 65 del 2017, rubricato specificatamente “Partecipazione economica delle famiglie ai servizi educativi per l’infanzia”, secondo cui, con intesa, in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 281 del 1997, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, è stabilita la soglia massima di partecipazione economica delle famiglie alle spese di funzionamento dei servizi educativi per l’infanzia pubblici e privati accreditati che ricevono finanziamenti pubblici. Il comma 2 della citata norma prevede, inoltre, espressamente, che “Gli enti locali possono prevedere agevolazioni tariffarie sulla base dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013 n. 159, nonchè l’esenzione totale per le famiglie con un particolare disagio economico o sociale rilevato dai servizi territoriali.”.
A parere di questa Sezione, dunque, ne discende come logica conseguenza, che i servizi educativi ricadono nell’ampia categoria dei servizi pubblici, nella quale è ora possibile far rientrare anche le strutture “asili nido”, (interpretando il D.M. del 1983 alla luce della nuova normativa) essendone stata stabilita, tra l’altro, esplicitamente la possibile fruizione gratuita a favore delle famiglie meno abbienti (art. 9 del D.Lgs. n. 65 del 2017).
Tanto premesso, non resta a questo punto che fare breve cenno, da un lato alle norme del Testo Unico sugli Enti locali (TUEL), dall’altro lato alla fondamentale Legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo. In particolare, dalla lettura dell’art. 112 TUEL in combinato disposto con il successivo art. 117, si evince che gli enti locali provvedono alla gestione dei servizi pubblici aventi ad oggetto la produzione di beni ed attività rivolte alla realizzazione dei fini sociali e alla promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità locali.
A tal fine gli stessi approvano tariffe in misura tale da assicurare l’equilibrio economico/finanziario dell’investimento e della connessa gestione. I criteri per il calcolo della tariffa relativa ai servizi stessi riguardano: a) la corrispondenza tra costi e ricavi in modo da assicurare la integrale copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico/finanziario; b) l’equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito; c) l’entità dei costi di gestione delle opere, tenendo conto anche degli investimenti e della qualità del servizio ed infine d) l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato.
Dall’altro lato, l’art. 12 della Legge n. 241 del 1990 disciplina i provvedimenti attributivi di vantaggi economici stabilendo, al comma 1, che “La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi” e, al comma 2, che “L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.

Alla luce delle norme sopra richiamate e, dunque, a parere di questa Sezione, anche a prescindere dall’esatta qualificazione dei servizi educativi come servizi a domanda individuale, ovvero quali servizi pubblici tout court, si ritiene che il legislatore non abbia negato la possibilità, agli enti locali, di concedere alcuni servizi ritenuti di interesse pubblico prevalente per lo sviluppo della comunità di riferimento, anche a titolo gratuito, secondo le modalità ritenute più idonee per una gradazione della contribuzione a carico delle famiglie meno abbienti, in conseguenza delle diverse situazioni economiche in cui le stesse versano, come rilevabile dall’indicatore ISEE, richiamato dallo stesso art. 9 della Legge n. 65 del 2017.
Ovviamente, prevedendo, a tal fine, ragionevoli “scaglioni” differenziati in base al predetto indicatore della situazione economica equivalente, i quali, pertanto, non potranno prescindere dalla verifica delle condizioni economiche dei destinatari, fermi restando tutti vincoli posti dalla normativa vigente in tema di equilibrio di bilancio.
Analogamente a quanto statuito dalla Sezione delle Autonomie con la recentissima deliberazione n. 25 del 7 ottobre 2019 relativamente al servizio di trasporto scolastico, non può che confermarsi, quindi, anche per questa fattispecie, la possibilità, per gli enti locali, nell’ambito della propria autonomia finanziaria e nel rispetto degli equilibri di bilancio, nonché nel rispetto della clausola di invarianza della spesa, di provvedere alla copertura finanziaria dei servizi educativi con risorse proprie, con tutti gli strumenti concessi dall’ordinamento vigente, sulla scorta di una valutazione di amministrazione attiva di competenza esclusiva dell’ente di riferimento, entro il limite di rispetto del principio di ragionevolezza.
Ne consegue pertanto la possibilità “… di erogare gratuitamente il servizio nei confronti delle categorie di utenti più deboli e/o disagiati, laddove sussista un rilevante e preminente interesse pubblico, e dall’altro, di definire un piano diversificato di contribuzione delle famiglie beneficiarie …”.
Del resto, la stessa clausola di invarianza della spesa prevista dall’art. 9 del D.Lgs. n. 65 del 2017, non può essere interpretata difformemente da come è stata intesa dalla consolidata giurisprudenza contabile, seppure in occasione di problematiche affrontate nei diversi casi specifici. In altri termini, “…l’invarianza non preclude la spesa “nuova” solo perchè non precedentemente sostenuta o “maggiore” perché di importo superiore alla precedente previsione, ma la decisione di spesa comporterà oneri “nuovi e maggiori” se aggiuntivi ed esondanti rispetto alle risorse ordinarie (finanziarie, umane e materiali) che a legislazione vigente garantiscono l’equilibrio di bilancio” (cfr. Sezione regionale di Controllo per la Campania, deliberazione n. 102/2019 PAR e Sezione regionale di Controllo per l’Abruzzo, deliberazione n. 127/2017 PAR).
Tale interpretazione circa la possibilità di concedere sussidi o contributi alle famiglie, infine, non sembra collidere con la normativa della Regione Veneto ed in particolare con la L.R. n. 32 del 1990 “Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia : asili nido e servizi innovativi” come novellata dalla L.R. n. 6 del 2017, né con la L.R. n. 11 del 2001 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle dette norme disciplinano aspetti diversi della materia e non riguardano direttamente i contributi alle famiglie ai fini della partecipazione ai servizi educativi sopra richiamati. In conclusione, questa Sezione rende il parere nei termini sopra esposti, evidenziando che, nel rispetto di tutti vincoli posti dalla normativa vigente in tema di equilibrio di bilancio, rimane di esclusiva spettanza della singola amministrazione la valutazione del caso concreto in merito all’esistenza dei presupposti necessari ai fini della legittima concessione di contributi e sussidi alle famiglie meno abbienti e bisognose.
Sarà, tuttavia, necessario predeterminare criteri rigorosi e ragionevoli di gradazione, garantendo così, nell’esercizio della propria discrezionalità amministrativa, l’ossequio dei principi di ragionevolezza, imparzialità, trasparenza ed economicità dell’agire pubblico
P.Q.M.
La Sezione regionale di controllo per il Veneto rende il parere nei termini sopra espressi.
Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Signor Sindaco e al Signor Segretario Generale del Comune di Spresiano (TV).
Così deliberato in Venezia, nella Camera di consiglio del 20 novembre 2019.
IL MAGISTRATO RELATORE F.to Amedeo Bianchi
IL PRESIDENTE F.to Salvatore Pilato
Depositata in Segreteria il 27 novembre 2019
IL DIRETTORE DI SEGRETERIA F.to Letizia Rossini