Patti territoriali per la formazione: dalle parole ai fatti

    da gessetticolorati.it    

Patti territoriali per la formazione: dalle parole ai fatti 

di Raffaele Iosa e Massimo Nutini

Un commento pedagogico e alcune indicazioni operative sull’ampliamento dell’offerta formativa possibile, per la prossima estate, con i 150 milioni di euro previsti dal “Decreto legge Sostegni”

 

Dunque, dal Decreto Sostegni del governo Draghi arrivano 150 milioni direttamente alle scuole come primo segno di carattere squisitamente sociale ed educativo per i nostri bambini e ragazzi che da febbraio 2020 ad oggi hanno patito gli effetti sconvolgenti della pandemia da Covid nell’esperienza scolastica, nella vita sociale, nella dimensione esistenziale di crescita.
Tali risorse si aggiungono ad una cifra di circa 225 milioni destinabile alle stesse finalità nell’ambito del Programma operativo nazionale PON “Per la Scuola” 2014-2020.

Una novità assoluta che deve essere ben compresa e attuata

E’ una novità che rischia di non essere capita in tutta la sua potenzialità, da molte scuole ed enti locali, e forse anche fraintesa. Non siamo più infatti nel periodo delle passioni generose della primavera del 2020, ma in quello (con la seconda e terza pandemia) delle passioni tristi di questo anno scolastico, in cui il clima sociale ed educativo si è complicato e raffreddato anche con la nuova grande chiusura di tutte le scuole delle zone rosse, di cui oggi non è nota la fine, anche se il Governo garantisce che le scuole saranno (auguriamocelo) le prime ad essere riaperte.
Eppure questa novità arriva giusto al momento in cui emerge, giorno dopo giorno, la drammatica emergenza sociale ed educativa fatta pagare ai nostri bambini e ragazzi con ferite non solo curricolari ma anche e forse soprattutto sociali, emotive, esistenziali, proattive.
Tutti aspetti che hanno (eccome) a che fare con l’educazione e con la scuola nel suo offrire quotidianamente, e insieme, istruzione e formazione.

Lo scopo di questi 150 milioni, che si uniscono ai fondi del Programma operativo nazionale PON “Per la Scuola“, è infatti definito con precisione. Si propone alle scuole di attivarsi direttamente per “potenziare l’offerta formativa extracurricolare, il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline, la promozione di attività per il recupero della socialità, della proattività, della vita di gruppo delle studentesse e degli studenti” (inserendo a questo punto un “anche” un po’ pericoloso che potrebbe vanificare, almeno in parte, la finalità perseguita) “nel periodo che intercorre tra la fine delle lezioni dell’anno scolastico 2020/2021 e l’inizio di quelle dell’anno scolastico 2021/2022”.

Per tale periodo, si invitano le scuole ad ampliare l’offerta formativa ad ampio orizzonte, facendo riferimento (appunto) ad un celebre articolo del Regolamento autonomia (il 9) molto poco utilizzato (ahimè), in questi venti anni di scarsa autonomia reale, dalle scuole e spesso utilizzato per “progetti” di contorno accessorio e poco connessi alla parte hard del curricolo.

Le risorse in campo, i procedimenti e le tempistiche

Si apprende dalla Relazione tecnica che il finanziamento previsto sarà mediamente pari a circa 45.000 euro per ogni istituto scolastico, considerato che con le risorse PON 2014-2020 si darà copertura a circa il 60% degli istituti mentre il rimanente 40% sarà finanziato, appunto, con i 150 milioni del decreto sostegni.
Tali risorse saranno assegnate, sulla base di un avviso pubblico, prioritariamente alle istituzioni scolastiche statali che manifestano il proprio interesse e che non abbiano già ottenuto un finanziamento, per le medesime finalità, a valere sulle risorse del Programma operativo nazionale “Per la Scuola” 2014-2020.
Se il decreto attuativo del Ministro dell’Istruzione sarà adottato in tempi brevi, si può dire che il finanziamento, questa volta, non arriverà troppo tardi, ma tre mesi prima del suo utilizzo. C’è dunque tempo per riflettere, progettare, diffondere l’idea.

Il successo o meno di questa idea però dipenderà da molti soggetti. In primo luogo, naturalmente, si tratterà di vedere quale sarà la gestione del Ministero e quanta dose di centralismo e di burocratizzazione si vorrà continuare a seminare nel processi attuativi. Da questo punto di vista sarà un banco di prova per il nuovo Ministro e per il nuovo Capo Dipartimento per dimostrare un cambio di passo. Ma dipenderà anche dai sindacati, dagli enti locali, dalla società civile, dal terzo settore, se cioè tutti gli steackholders coinvolti a diverso titolo nell’educazione proveranno, o meno, a costruire e condividere (assieme alle scuole) sinergie significative e di qualità per tentare di restituire quanto perduto e per offrire ancora speranza e risanamento del dolore vissuto.

Risulta evidente infatti che le ferite delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi vissute in questo periodo non sono solo tema della scuola (come fosse l’unico ospedale rieducativo) ma di tutta la società adulta, a partire da quella orizzontale e del territorio composta dai tanti diversi soggetti che si occupano di educazione e giovani.

Vediamo, quindi e innanzitutto, alcuni temi squisitamente pedagogici e sociali, oltre alle prime indicazioni operative,  anche per offrire spunti e idee alle scuole che saranno interessate a candidarsi per questo finanziamento, che è di libera scelta di ogni singola scuola autonoma. Esempi riguardanti l’estate prossima, per quelli durante l’autunno ne parleremo più avanti.

L’estate, i bambini e i ragazzi

Superato il troppo demagogicamente discusso “proseguimento dell’anno scolastico a fine giugno”, il Decreto fa una svolta inedita, mai avvenuta prima e persino coraggiosa: propone alle scuole di essere aperte da metà giugno a fine agosto per realizzare (appunto) originali ampliamenti dell’offerta formativa. Lo richiede quest’epoca così dura ed emergenziale ma è una grande opportunità per praticare, dopo averne parlato tanto, una nuova progettazione e azione educativa sul territorio e con il territorio.

Ma cosa c’è nelle nostre città per l’estate dei bambini e dei giovani? C’è spesso già molto. Non sono pochi i comuni grandi e piccoli che hanno una lunga tradizione estiva di opportunità, anche se, qualche volta, un po’ appannata come qualità. Pullulano le iniziative di carattere animativo-sociali, in primis quelle delle parrocchie e della cooperazione sociale che occupano volontari e educatori, a partire da quelli che seguono gli alunni con disabilità a scuola durante l’anno.

Sono iniziative molto spesso svolte in scuole pubbliche, possibilmente con ampi spazi e giardini, concesse dalle amministrazioni comunali che, tra l’atro, sono anche un modo per mantenere a tanti educatori un salario nei mesi estivi, altrimenti perduto perché il loro lavoro è a cottimo, centrato sull’anno scolastico e sulla presenza o meno dell’alunno con disabilità.

La maggioranza delle attività estive sono a pagamento (si paga per settimana o per mese) e le tariffe variano secondo la tipologia e in relazione all’orario che prevalentemente copre tutta la giornata pur essendo presenti centri che offrono opportunità solo mattutine o solo pomeridiane. In genere si offrono uno/due giorni settimanali in piscina o in montagna o al mare, con almeno uno o due gite interessanti a mese, e varie attività sportive. Se c’è nelle vicinanze un grande parco giochi, non ci si lascia perdete l’occasione…  Spesso, le attività si interrompono nelle settimane centrali di agosto, ma possono offrire servizi anche fino alla prima settimana di settembre. La frequenza è ovviamente calibrata sulle esigenze delle famiglie e sulle loro ferie familiari.

I Comuni garantiscono un finanziamento alle attività che rispondano a determinati requisiti e, anche avvalendosi di contributi statali e regionali, aiutano le famiglie a basso reddito pagando, di fatto, una parte della quota di compartecipazione, naturalmente in base all’ISEE. Tutte le opportunità del territorio sono utilizzate, dalla visita al museo alla giornata al centro equitazione, dalla pomeriggio alla fattoria all’incontro con l’artigiano che effettua lavorazioni in via di estinzione. La maggioranza delle iniziative accolgono bambini dai 3 ai 14 anni, con diverse articolazioni di attività secondo l’età. Si può perfino creare per ogni bambino una specie di estate à la carte. Sono comunque attività a valenza di socialità, proattività, amicizia, esperienze culturali, ma anche di apprendimenti curricolari informali (es. l’inglese, l’arte).

Ci sono poi i nostri giovani da 14 anni in su, e qui la forbice si apre: i figli del ceto medio-alto si fanno la stagione al mare o vanno (andavano prima del Covid) all’estero per corsi di inglese o in vacanze ancora più raffinate in giro per il mondo. Invece I giovani degli istituti professionali e dei ceti medio-bassi si trovano lavoretti estivi (nelle zone in cui questo è possibile) e diverse attività di passatempo. Se ci sono, utilizzano spazi di aggregazione giovanile, offerti spesso dalle parrocchie e da qualche circolo, dove non è richiesto il pagamento di una tariffa.

In conclusione: attività che nulla finora hanno avuto di relazione con le nostre scuole. Tutto questo per dire che dalla fine della scuola e fino all’anno scolastico successivo non c’è il deserto educativo nelle nostre città. Ci può essere un sud (e non tutto) con un’offerta più scarsa, e qui la presenza della scuola può essere davvero determinante, ma in altre parti del paese la situazione è del tutto diversa. Il problema, ed è questa una grande occasione da non perdere, è abbattere i costi, in particolare per i più bisognosi, e far fare un salto di qualità a quest’offerta che, con l’ingresso della professionalità e dell’esperienza delle scuole, è sicuramente realizzabile.

Il rapporto tra progetti delle scuole e progetti del territorio

Dunque   la scuola si troverà nuovamente, ma con risorse proprie e alla pari, a dialogare con altri soggetti pubblici e privati che già offrono opportunità educative, già utilizzate dalle famiglie, e non è escluso che si possano verificare episodi di competizione infelice e di conflitti, anche politici.

Le alternative sono quattro:

– la scuola tende a lasciar perdere perché ritiene il “mercato locale” di opportunità già saturo e non avanza alcun progetto per chiedere il finanziamento;
– la scuola procede separatamente e si affianca alle tante iniziative separate di altri soggetti, a canne d’organo ognuna per conto suo;
– la scuola semplicemente “appalta” qualche iniziativa già pronta dalle varie cooperative e associazioni, magari mettendoci come prezzemolo qualche insegnante volenteroso;
– la scuola si offre come partner (e anche investitore) in iniziative progettare e realizzate assieme ad altri soggetti del territorio, nella logica “paritaria” del “patto di comunità”.

È evidente che la quarta alternativa è l’unica che può realizzare un ruolo della scuola nel territorio che, se non è ancora quel “sistema formativo integrato” che abbiamo imparato da Bruno Ciari negli anni 70 dello scorso secolo, ci si avvicina molto, attivando una sinergia educativa che potrà aiutare tutti i soggetti a crescere e migliorare. E così l’educazione esce dalle sole aule di scuola e attraversa le strade delle nostre città. E, ovviamente, in questa filosofia pedagogica, l’ente locale può agire come coesore di comunità, dunque il primo partner che la scuola dovrebbe avere.

Tutto questo porta a pensare che, sia al nord sia al centro sia al sud, la scuola debba fare i conti, per eventuali attività estive, da un lato con i bisogni esistenziali e le ferite dei propri alunni e studenti, ma dall’altro anche con l’offerta qualitativa del territorio già presente. Ed è per questo che appare essenziale, per dare successo alle iniziative possibili con le significative risorse che stanno per essere erogate, che le gli istituti scolastici agiscano come soggetti attivi ma non unici o solitari nel programmare le attività estive proposte dal Decreto.

D’altra parte lo dice e favorisce lo stesso articolo 9 del Regolamento Autonomia DPR 275/99 che esplicitamente afferma:

“Art. 9 (Ampliamento dell’offerta formativa)

  1. Le istituzioni scolastiche, singolarmente, collegate in rete o tra loro consorziate, realizzano ampliamenti dell’offerta formativa che tengano conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. I predetti ampliamenti consistono in ogni iniziativa coerente con le proprie finalità, in favore dei propri alunni e, coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli enti locali, in favore della popolazione giovanile e degli adulti.
  2. I curricoli determinati a norma dell’articolo 8 possono essere arricchiti con discipline e attività facoltative, che per la realizzazione di percorsi formativi integrati le istituzioni scolastiche programmano sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali.
  3. Le istituzioni scolastiche possono promuovere e aderire a convenzioni o accordi stipulati a livello nazionale, regionale o locale, anche per la realizzazione di specifici progetti.”

Come operare concretamente

Innanzitutto c’è da augurarsi che le circolari  ministeriali non mettano lacci e vincoli formali, che i sindacati condividano la presenza dei docenti, pur su base volontaria e contrattualmente regolata, in queste iniziative, che gli enti locali partecipino ad una progettazione condivisa portando il loro apporto di esperienza e conoscenza sull’attività educativa sul territorio ed una comune regolamentazione delle modalità di utilizzo degli edifici di cui sono proprietari e dei servizi di supporto che potrebbero essere utilizzati anche per le attività estive, che si definiscano accordi locali di integrazione e collaborazione tra i diversi soggetti istituzionali e con il coinvolgimento degli altri soggetti presenti sul territorio.

Si tratta, insomma, di una vera opportunità per iniziare a coniugare la risposta ai bisogni dei singoli (di crescita e sviluppo di ciascun individuo, di cui si occupa tradizionalmente la scuola) con i bisogni emergenti dal contesto socio economico locale (di sviluppo della comunità, appannaggio degli enti locali). Peraltro, la sottoscrizione di “Patti educativi di comunità” è oggi esplicitamente sollecitata dal Piano Scuola 2020/21, approvato con decreto ministeriale 26 giugno 2020, n. 39, contenente le indicazioni per la ripartenza delle attività didattiche in presenza dopo le chiusure obbligate dall’emergenza sanitaria.

Tali “Patti” possono rappresentare, anche in relazione a attività da svolgersi nei periodi di interruzione del calendario scolastico, un’importante occasione per potenziare e qualificare i rapporti tra le scuole e gli enti locali. Il decreto legge 14 agosto 2020, n. 104 (decreto Agosto), al comma 2, lett. a), dell’art. 32, ha già stanziato specifiche risorse per sostenere finanziariamente i “patti”. La norma prevede che “le istituzioni scolastiche stipulano accordi con gli enti locali contestualmente a specifici patti di comunità, a patti di collaborazione, anche con le istituzioni culturali, sportive e del terzo settore, o ai piani di zona, opportunamente integrati, di cui all’articolo 19 della legge 8 novembre 2000, n. 328, al fine di ampliare la permanenza a scuola degli allievi, alternando attività didattica ad attività ludico-ricreativa, di approfondimento culturale, artistico, coreutico, musicale e motorio-sportivo, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 1, comma 7, della legge 13 luglio 2015, n. 107”.

Dal punto di vista procedurale c’è un po’ di lavoro per gli insegnanti, per il dirigente scolastico e per il direttore generale dei servizi amministrativi. Per prima cosa si deve fare una delibera del Consiglio di Istituto e approvare una proposta di progetto di massima che già preveda la necessità della sottoscrizione di un “patto” territoriale” e autorizzi il dirigente alla sottoscrizione, poi ci sarà il lavoro del collegio dei docenti, poi sarà necessario definire il “patto territoriale” assieme all’ente locale e agli altri soggetti del territorio che potranno concorrere alla realizzazione del progetto, sarà quindi opportuno condividere con le rappresentanze sindacali nella scuola i criteri per raccogliere le adesioni del personale scolastico all’iniziativa e le modalità di incentivazione e definire, con il responsabile del servizio prevenzione e protezione, le indicazioni utili per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19, tenendo conto dei protocollo nazionali e regionali che trattano tali questioni.

A monte, naturalmente, non appena sarà pubblicato l’avviso pubblico per richiedere il finanziamento, la scuola dovrà avanzare la sua candidatura. È un lavoro che non deve impensierire più di tanto. Si deve pensare a documenti semplici, essenziali, asciutti, e non a voluminosi e complicati elaborati che, ove necessari per la parte operativa, potranno essere rinviati ad un momento successivo e delegati a chi si occuperà dell’attuazione. Inoltre, per la stesura di alcune parti, ci si potrà avvalere di collaborazioni anche utilizzando le altre risorse messe a disposizione delle scuole con l’altro articolo dello stesso decreto sostegni che stanzia ulteriori 150 milioni per acquisti di forniture e servizi necessari ad affrontare l’emergenza sanitaria e le azioni da intraprendere da parte degli istituti.

Ma lo sguardo che dobbiamo avere per realizzare queste attività rimane quello che si muove a partire dalle bambine e dai bambini, dalle ragazze e dai ragazzi, con un’attenta riflessione sulla loro condizione esistenziale, ma anche familiare, sociale, scolastica, di reti amicali. Meglio ancora sarebbe se più attività possibili fossero condivise e progettate assieme loro, avendo però nel cuore l’onesta sensazione che siamo in un’emergenza educativa e sociale per la quale dobbiamo dare il meglio. Non una gabbia afosa a fare noiose ripetizioni, non una guardiania per farli correre nei giardini, né banalità amene per far passare il tempo. Ci vogliono idee creative, divertenti ed emozionanti anche per noi adulti, che le scuole assieme alle altre agenzie educative del territorio sapranno sicuramente trovare.

Le riflessioni contenute in questo testo sono dedicate a Francesca Sivieri, l’insegnante che nella prima ondata ha “riaperto la scuola” nei giardini pubblici della sua Città e a Iselda Barghini, promotrice della rete delle scuole senza zaino che si è detta convinta che i cambiamenti indotti dall’emergenza sanitaria genereranno una risorsa stabile e condivisa tra la scuola e il territorio.