Il Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei anni tra buoni propositi e difficoltà applicative

Col decreto attuativo della legge 107/2015 viene istituito il Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei anni. Lo Stato riconosce finalmente i nidi e i servizi educativi per l’infanzia come la prima tappa del percorso scolastico e si impegna con fondi propri per il loro incremento sull’intero territorio nazionale.

L’obiettivo è il tasso di copertura del 33% della popolazione in età, come indicato a suo tempo dall’Agenda di Lisbona. Si tratta di un passo in avanti che finalmente valorizza un servizio rimasto sin dalla sua nascita ai margini dell’impegno politico nazionale per l’educazione delle giovani generazioni e il sostegno delle responsabilità genitoriali.

I limiti del decreto

Se da una parte vanno riconosciuti i meriti del decreto, che risulta il più apprezzato tra tutti quelli della Buona scuola, non bisogna tacerne i limiti. Una prima fonte di delusione è il fatto che, rispetto al testo della Legge 107, non si parla più di livelli essenziali delle prestazioni da garantirsi sull’intero territorio nazionale e per tutti i bambini. La funzione redistributiva dello Stato ribadita nel decreto ne esce sminuita. Anche gli standard strutturali, organizzativi e qualitativi per l’autorizzazione e l’accreditamento dei nidi non sono più nella competenza statale e restano nella potestà delle regioni. Questa situazione va da subito affrontata dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, per contrastare quella frammentazione di intenti e di regolamentazioni che è la cifra in negativo dello stato dei servizi educativi lungo la nostra Penisola. C’è poi la mancata esclusione dei servizi educativi per l’infanzia dai servizi a domanda individuale, che rappresenta un ostacolo per l’espansione e le possibilità di accesso ai nidi, la cui istituzione resta facoltativa.

Non sono indicati i tempi

Il decreto istituisce il sistema integrato ma non fissa un termine temporale per conseguire gli obiettivi strategici da esso indicati. Il loro raggiungimento viene subordinato alle “effettive disponibilità di risorse finanziarie, umane e strumentali a legislazione vigente”, e in modo che avvenga “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Su questo aspetto si avverte la mano pesante del Ministero dell’Economia e delle Finanze e la sua preoccupazione di rendere compatibile l’impegno finanziario coi vincoli posti in un contesto di persistente difficoltà dei conti dello Stato.

A proposito del coordinamento pedagogico

Significativo è il caso del coordinamento pedagogico, che il decreto inserisce tra gli obiettivi strategici prendendolo a prestito dalle esperienze regionali e comunali più avanzate sullo zerosei. Ebbene il decreto stabilisce che “i comuni attivano… il coordinamento pedagogico dei servizi sul proprio territorio, in collaborazione con le istituzioni scolastiche e i gestori privati, nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, ivi comprese quelle di cui al comma 1 dell’art. 12”. Per come è scritto questo capoverso si desume che non sono possibili né nuove assunzioni, né eventuali distacchi a tempo pieno dall’insegnamento per svolgere le funzioni di coordinamento pedagogico, tanto nelle scuole statali quanto nei servizi comunali. Che i comuni non possano esercitare una loro iniziativa su questo aspetto è materia discutibile, per cui il vincolo riguarderà soltanto le scuole statali dell’infanzia. Di certo per i coordinamenti pedagogici non è un buon inizio, tenuto conto che essi costituiscono una delle infrastrutture più efficaci per favorire l’integrazione dei sistemi locali.

Solo per i nidi servirà ben oltre un miliardo di euro

Se da una parte non viene fissato anche per i nidi un termine per conseguire l’obiettivo del 33% di copertura dell’utenza in età, dall’altra vengono stanziamenti 433 milioni nel Fondo nazionale per il biennio 2017-2018, e 239 milioni a decorrere dal 2019. E’ evidente che si tratta di somme che in un triennio non consentono di raggiungere il traguardo stabilito. Si devono infatti creare tra i 140 e i 150 mila nuovi posti per i bambini dai zero ai due anni, con una spesa che andrà ben oltre il miliardo di euro. Questa stima non è comunque semplice da farsi poiché mancano dati attendibili su come avverrà l’espansione dei servizi nel pubblico e nel privato, due comparti contrassegnati da significative differenze nei costi gestionali. Ma anche per la difficoltà di prevedere l’impatto edilizio delle nuove istituzioni. Comunque, l’impegno finanziario che lo Stato si è assunto col decreto dovrà trovare la compartecipazione delle regioni e delle province autonome, che avverrà secondo quantità e modalità ancora da definire. E ciò rappresenterà un banco di prova importante per valutare quanto investimento politico e progettuale le autonomie locali saranno in grado di mettere in campo per l’espansione e la sostenibilità dei servizi educativi, che rappresentano nel decreto l’ambito di maggior impegno finanziario ed operativo.

Gli altri obiettivi del decreto

Le risorse del Fondo nazionale non sono rivolte soltanto ai servizi educativi. C’è infatti da provvedere alla generalizzazione della scuola dell’infanzia, al sostegno delle spese di gestione delle scuole paritarie e, soprattutto, dei nidi per facilitarne l’accessibilità, riducendo gli importi delle tariffe corrisposte dalle famiglie. Tariffe che, per quanto elevate, riescono a coprire meno di un terzo dei costi di gestione sostenuti dai comuni.

E c’è poi da perseguire la qualificazione dei servizi, la formazione del personale educativo e docente, la promozione dei coordinamenti pedagogici territoriali, la costituzione dei poli per l’infanzia e l’abolizione dell’anticipo scolastico. Un’abolizione quest’ultima che, nel suo farsi, potrà non incontrare l’apprezzamento dei genitori, i quali, nell’ambito della scuola statale, si vedranno dirottati in sezioni primavera. Queste ultime, come avviene nel privato e nei comuni, prevedono una compartecipazione significativa alla spesa da parte delle famiglie. Lo Stato potrebbe decidere di rendere gratuita, come nel caso dell’anticipo, la frequenza delle sezioni primavera che il decreto gli consente di istituire. Ma in questo modo si introdurrà una differenziazione di trattamento tra le famiglie che frequentano un servizio statale e quelle che invece trovano posto nei comuni e nel privato.

L’operatività nei contesti locali

La progettazione e la costruzione effettiva del sistema integrato dovranno confrontarsi con le risorse politico-amministrative, professionali e finanziarie presenti nei diversi contesti territoriali. Questo aspetto, che risulta decisivo per integrare e qualificare i servizi, suscita più di una preoccupazione. Va infatti considerato come la situazione nazionale resta segnata da una marcata differenziazione nell’impegno politico e realizzativo locale che ha consolidato, e persino accresciuto, il divario tra le Regioni e i Comuni del Centro-Nord e quelli del Sud rispetto alla presenza e alla qualità dei servizi educativi e, più in generale, nell’integrazione dei diversi attori dei sistemi scolastici territoriali. Non dappertutto le condizioni si presentano favorevoli. Ci sono territori dove il welfare dei servizi non è mai decollato e le politiche per l’infanzia devono fronteggiare carenze di risorse e latitanze istituzionali. Ci sono realtà in cui i servizi e le scuole di diversa estrazione sono abituati a rimarcare le reciproche differenze piuttosto che le possibili convergenze. Ma vi sono anche molti comuni, col supporto delle rispettive regioni, che hanno consolidato buone politiche e buone pratiche di qualificazione dell’offerta formativa locale, nell’ottica del sistema integrato. Si tratta delle esperienze a cui la Legge 107/2015 fa riferimento, seppur indiretto, nel disegnare il sistema integrato zerosei anni.

Per una governance efficace del sistema

Il decreto offre l’occasione per un impegno volto al superamento delle difficoltà e criticità, per ottimizzare le risorse locali e puntare, anche per gradi, alla realizzazione di una governance capace di promuovere e coordinare i diversi apporti nella logica dell’integrazione. Si tratta di spostare in avanti il livello della collaborazione tra tutti gli attori presenti sulla scena. E non è sufficiente favorire rapporti di buon vicinato.

In un panorama nazionale quanto mai variegato ci sono realtà locali “virtuose” ed altre dove non mancano le criticità da affrontare. Ci sarà bisogno che le buone pratiche vengano messe in circolo e possano costituire un’occasione di confronto e di empowerment per sostenere le politiche locali. A questo proposito, sarà interessante verificare come lo Stato e le Regioni, nei loro compiti di programmazione generale, saranno capaci di promuovere supporti allo sviluppo e alla qualificazione dei sistemi locali, in termini anche di know how rispetto alle normative, alle procedure e alla infrastrutturazione dei sistemi. Sistemi locali che richiedono, per operare in rete, una buona progettazione e programmazione della formazione e del coordinamento pedagogico, con cabine di regia efficienti e sistemi opportuni di valutazione e di monitoraggio.

E’ il tempo dell’impegno

Il decreto consente di mettere a frutto diverse cose buone, e non dobbiamo perdere di vista la possibilità che i suoi limiti possano col tempo essere superati. Di certo la stagione che ci aspetta si annuncia ancora carica di difficoltà per le casse pubbliche e ciò renderà tutto più incerto e problematico. Molto dipenderà da come il decreto sarà applicato nella triangolazione di competenze, di responsabilità e di cofinanziamenti tra Stato, regioni e comuni. Per un sistema che riesca integrare in modo efficace le volontà, gli strumenti e le risorse dei principali attori istituzionali. Nell’interesse pubblico.

Giovanni Faedi, esperto di sistemi formativi e servizi per l’infanzia, già dirigente dei Settori istruzione e Servizi educativi dei comuni di Cesena e Ancona.