Niente sconto sulla mensa al possessore di auto di grossa cilindrata

  Sentenza Corte di Cassazione 4 ottobre 2018, n. 24165 

Il Comune può legittimamente decidere di subordinare il diritto a fruire della tariffa agevolata per il servizio di ristorazione scolastica in presenza di indicatori reddituali aggiuntivi rispetto all’Isee. Tra questi può esservi anche il possesso o la proprietà di auto di grossa cilindrata da parte dei genitori degli alunni.


Sentenza Corte di Cassazione decisa il 27 marzo 2018  –  pubblicata il 4 ottobre 2018, n. 24165
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte Suprema di Cassazione – Terza sezione civile
…omissis…

Fatti di causa
Con sentenza in data 28.2.2014 n. 187 il Giudice di Pace dì Chieri accertava il diritto di (omissis) a fruire della tariffa agevolata per la erogazione dei servizi di mensa scolastica e di asilo nido a favore dei figli ( omissis) ed (omissis) , per gli anni scolastici 2011-2012 e 2012-2013 , e condannava il Comune di Chieri a restituire la maggiore somma di ( 3.784,65 indebitamente riscossa.
La decisione impugnata dal Comune veniva confermata da tribunale di Torino con sentenza in data 12.4.2016 n. 2081 in base alle seguenti ragioni :
– Inammissibile per difetto di specificità doveva ritenersi il motivo di gravame con il quale veniva eccepito il difetto di giurisdizione dell’AGO
– Infondata era la pretesa del Comune di corresponsione della tariffa piena, in quanto la delibera comunale n. 94/2010 come modificata dalla delibera n. 69/2011 tra le condizioni di esclusione della agevolazione prevedeva il possesso o la proprietà di una autovettura di cilindrata superiore a 2500 cc, mentre nel caso di specie la vettura era in comproprietà od in compossesso con un terzo
– La interpretazione fornita dal Giudice di Pace della disposizione della predetta delibera, secondo cui occorreva avere riguardo anche ad un utilizzo costante e non saltuario del veicolo, non era stata impugnata ed era pertanto passata In giudicato.
Avverso tale sentenza, notificata in via telematica in data 18.4.2016, ha proposto rituale ricorso per cassazione Il Comune dì Chieri deducendo due motivi.
Resiste con controricorso (omissis)
Le partì hanno depositato memorie Illustrative ex art. 378 c.p.c.

Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso il Comune di Chieri impugna la sentenza di appello per violazione degli artt. 7, 29, 41 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2.7.2010, n. 104), nonché dell’art. 5 della legge n. 2248/1865 Ali. E, deducendo che , erroneamente, il Tribunale aveva ritenuto che il Comune avesse eccepito con il primo motivo di gravame il difetto di giurisdizione dell’AGO, mentre la doglianza atteneva alla diversa questione secondo cui, in mancanza di tempestiva impugnazione avanti il TAR, sia dell’atto 27.9.2011 di diniego della applicazione della tariffa agevolata, sia dei provvedimenti presupposti (delibera CC 23.10.2010 n. 94, e delibera CC 26.5.2011 n. 69), le determinazioni del Comune erano divenute intangibili e non potevano quindi essere rimesse in discussione, essendo pertanto precluso al Giudice di Pace di disapplicare tali atti amministrativi, a fronte dei quali la (omissis) poteva vantare soltanto una situazione di interesse legittimo.
Pur se non indicato in rubrica il parametro normativa indicativo del vizio di legittimità dedotto, dalla esposizione del motivo è agevole tuttavia evincere che viene denunciata una inesatta rilevazione del contenuto del motivo di gravame dedotto dal Comune con l’atto di appello, con conseguente omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.: trattasi dunque di vizio inerente l’attività processuale ex art. 360co1n. 4 c.p.c..
Osserva il Collegio che nonostante le oscillazioni degli argomenti svolti a sostegno della censura (che divagano tra la questione di giurisdizione -in tal senso sembrerebbe infatti intendersi la indicazione in rubrica dell’art. 7 CPA secondo cui “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali sì faccia questione di interessi legittimi….”- e la diversa questione dei limiti interni alla giurisdizione AGO in ordine al sindacato dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo), tuttavia, come emerge dalla lettura del primo motivo di gravame dell’atto di appello (riportato nel ricorso alla pag. 6 sub lett. A), la questione devoluta al Giudice del gravame concerneva l’asserito superamento dei limiti previsti al potere di disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del Giudice ordinario, e non, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, una questione di giurisdizione.
Il rilevato vizio processuale di omessa pronuncia, tuttavia, non determina per ciò stesso l’accoglimento del ricorso e la conseguente rimessione della causa al giudice di rinvio affinché pronunci sulla questione pretermessa, allorquando la questione di diritto sulla quale il Giudice di merito non ha pronunciato non richieda ulteriori accertamenti in fatto in quanto -secondo la costante giurisprudenza di legittimità- a questa Corte è consentito, alla stregua di una interpretazione dell’art. 384 co2 c.p.c. costituzionalmente orientata a1 principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cu1 all’art. 111 Cast., di non disporre il rinvio della causa in seguito alla cassazione della sentenza impugnata, e decidere la causa nel merito (cfr. Corte cass. Il sez. 1.2.2010 n. 2313; id. I sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav. 3.3.2011 n. 5139; 1d. Sez. 3, Sentenza n. 15112 del 17/06/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013; Sez. 6- 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014; id. Sez. L, Sentenza n. 23989 de/11/11/2014 che estende l’intervento correttivo ex art. 384 ult. comma, c.p.c. finanche al vizio di nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente).

Il motivo di gravame è infondato.

Occorre premettere che secondo consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, la controversia relativa al pagamento del corrispettivo dovuto per la fruizione del servizio pubblico di mensa scolastica non va devoluta alla giurisdizione tributaria né a quella amministrativa. Quanto alla prima in quanto non viene in rilievo il pagamento di una imposta e nemmeno di una tassa, ma il pagamento di un corrispettivo dovuto per la prestazione di servizio in esecuzione di un rapporto di natura obbligatoria. Quanto al riparto tra AGO e GA è stato chiarito che “in tema di corrispettivo dovuto per la fruizione di un pubblico servizio (quale, in particolare, quello di mensa scolastica), la posizione del privato – mentre è di interesse legittimo (suscettibile di tutela solo presso il giudice amministrativo) rispetto al provvedimento generale di determinazione della tariffa -assume la consistenza del diritto soggettivo, tutelabile dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, per quanto concerne l’accertamento dell’inesistenza del potere dell’ente di pretendere la prestazione pecuniaria, in assoluto o in un determinato ammontare, giacché, in tal caso, vengono in contestazione diritti ed obblighi di fonte contrattuale privata ed il giudice ordinano ben può verificare incidentalmente la legittimità e l’efficacia dei provvedimenti dell’autorità amministrativa determinativi o modificativi della tariffa (cfr. Cass. 6074/07, 25520/06, 9538/05, 5412/04, 1J.030/91);…….” (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 2295 del 03/02/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 13193 del 25/05/2018).

Tanto premesso la tesi sostenuta dal Comune secondo cui, in relazione alla pretesa avente ad oggetto la applicazione della agevolazione tariffaria sussisterebbe un mero interesse legittimo si palesa destituita di fondamento – venendo quindi meno l’argomento difensivo del definitivo consolidamento degli effetti dell’atto di diniego per omessa impugnazione dell’atto amministrativo avanti il TAR nel termine di decadenza previsto per l’azione di annullamento dall’art. 29 CPA -, trattandosi di atto che non è esplicazione di potestà amministrativa discrezionale, ma di attività meramente ricognitiva dei presupposti di fatto cui la norma ricollega il diritto alla fruizione della agevolazione tariffaria.

Essendo appena il caso di aggiungere che nella presente controversia non viene in questione la verifica di legittimità degli atti amministrativi presupposti e cioè delle delibere del Consiglio comunale che disciplinano, in attuazione di quanto previsto dal Dlgs 31.3.1998 n. 109, art. l, comma 2, ed art. 3, comma l, “le condizioni economiche richieste per l’accesso altre prestazioni agevolate, con possibilità di prevedere criteri differenziati in base alle condizioni economiche ed alla composizione della famiglia, secondo le modalità di cui all’art. 3 “, Ed infatti la (omissis) non ha contestato la scelta discrezionale del Comune nella individuazione del fatto ritenuto rilevante a dimostrare lo stato economico del nucleo familiare (nella specie delib. n. 94/2010 come successivamente modificata dalla delib. n. 69/2011, Tariffe agevolate – Punto 2 – 2.3 “Sono comunque esclusi dalle tariffe agevolate di cui al precedente punto 2.2 i nuclei in cui uno o più componenti risultino_ ..2.3.2 In possesso a titolo di proprietà o di utilizzo di una autovettura di cilindrata superiore a 2.500 cc”), ma ha invece contestato che la situazione di fatto, come rilevata nel corso del giudizio di merito, inerente il possesso della autovettura, corrispondesse alla fattispecie descritta nei provvedimenti tariffari generali, questione tipicamente riservata all’AGO in quanto avente ad oggetto l’accertamento dei fatti costitutivi della pretesa patrimoniale e dunque anche l’accertamento negativo dei fatti ritenuti ostativi.

Inconferente, in quanto non coglie la “ratio decidendi” è poi la censura rivolta, con il medesimo motivo di ricorso per cassazione, alla sentenza di appello per violazione dell’art. 5 della legge n. 2248/1865 ali. E, abolitrice del contenzioso amministrativo.

Il motivo di ricorso è, infatti, incentrato interamente nella dimostrazione che dette delibere sono esenti dai vizi di legittimità dell’atto amministrativo, e che invece avrebbe dovuto ritenersi illegittima la disapplicazione delle delibere da parte dell’AGO in quanto disposta in contrasto con il principio affermato da questa Corte secondo cui il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario non può essere esercitato nei giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati e nei soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo , non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico, sicché la questione venga a prospettarsi come pregiudiziale in senso tecnico (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 2244 del 06/02/2015).

Premesso che, come puntualizzato nel recente arresto di Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13193 del 25/05/2018 l’esercizio del potere di disapplicazione da parte dell’AGO è subordinato al ricorso di due condizioni oggettive: “a) il provvedimento amministrativo non può costituire l’oggetto diretto della controversia, cioè non può venire in rilievo come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì deve configurarsi quale mero antecedente logico, sicché la questione della sua legittimità si prospetti come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (tra le tante, Cass., Sez. U., n. 2987 del1975 e n. 2244 del 2015, citt.; Cass. nn. 22/2/2002, n. 2588; 13/9/2006, n. 19659; 10/1/2017, n. 276); b) il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, mentre il sindacato del giudice è escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (tra altre, Cass., Sez. U., n. 18263 del2004 e n. 116 del 2007, citt.; Cass. 221212010, n. 4242; 6/3/2013, n. 5588)….”, ebbene premesso quanto sopra, vale osservare che, nella specie, il Tribunale non ha affatto disapplicato le disposizioni delle delibere comunali, ma ha ritenuto, invece, di confermare la interpretazione che delle stesse aveva fornito il Giudice di Pace, secondo cui il “possesso” o la “proprietà” del veicolo, contemplato nella disposizione 2.3.2 della Tariffa Agevolata erano nozioni da declinare esclusivamente al singolare, non essendo considerate le ipotesi di comunione o compossesso.
Con il secondo motivo il Comune denuncia la violazione del regolamento comunale approvato con delibera CC n. 94/2010 e successivamente modificato con delibera CC n. 69/2011.

Sostiene il Comune che la delibera tariffaria prevedeva espressamente quale fatto dimostrativo delle condizioni economiche familiari, aggiuntivo all’Indicatore della situazione economica equivalete (ISEE), il possesso a titolo di proprietà od utilizzo di un’autovettura di cilindrata superiore a 2500 cc. La norma regolamentare non lasciava adito ad equivoci in ordine al contenuto prescrittivo, e la diversa interpretazione fornita dai Giudici di merito si poneva in contrasto con il criterio ermeneutico che imponeva di attribuire alla norma il significato fatto palese dalle parole. Inoltre tale distorta interpretazione risultava incompatibile con la “ratio legis” venendo di fatto ad esautorare lo specifico limite di accesso alla tariffa agevolata.

Il motivo è fondato.

Nell’ipotesi in cui la interpretazione letterale di una norma di legge o (come nella specie) regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè l’esame complessivo del testo, della “mens legis”, specie se , attraverso siffatto procedimento , possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal Legislatore.

Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua ( e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del Legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all’interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativa, non essendo consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 2533 del 03/12/1970; id. Sez. l, Sentenza n. 5128 del 06/04/2001).

La disposizione del regolamento comunale di cui alla “Disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei sevizi comunali”, approvata con delibera consiliare n. 94/2010 e modificata dalla delibera CC n. 69/2011 non presenta nel testo alcun equivoco od ambiguità rispetto al contenuto precettivo, laddove è stabilito che : 2.3 “Sono comunque esclusi dalle tariffe agevolate di cui al precedente punto 2.2. i nuclei in cui uno o più componenti risultino …..2.3.2. In possesso a titolo di proprietà o di utilizzo di un’autovettura di cilindrata superiore a 2.500 cc”.

Fermo che tale condizione risponde alla esigenza di meglio descrivere le condizioni economiche del richiedente l’agevolazione (come emerge anche dalla motivazione della sentenza impugnata), si palesa una evidente forzatura ermeneutica quella di circoscrivere il significato della norma assegnando alle parole “proprietà” e “possesso” Il senso di appartenenza o godimento “individuale esclusivo” della vettura, da un lato contrastando tale soluzione interpretativa con la situazione economica complessiva del nucleo familiare che viene in rilievo ai fini del riconoscimento della agevolazione, atteso che le ulteriori condizioni individuate dal Comune vengono ad integrare l’indicatore ISEE (art. 3, comma 1, Dlgs n. 109/1998 : “1. Gli enti erogatori, ai quali compete la fissazione dei requisiti per fruire di ciascuna prestazione, possono prevedere, ai sensi dell’articolo 59, comma 52, della legge 27 dicembre 1997 n. 449, accanto all’indicatore della situazione economica equivalente, come calcolato ai sensi dell’articolo 2 del presente decreto, criteri ulteriori di selezione dei beneficiari”), e dunque risultano del tutto irrilevanti le modalità di fruizione esclusiva o meno, in capo al singolo componente, di beni comunque ricadenti nel “patrimonio” della famiglia dall’altro lato, la predetta interpretazione cozza contro il tenore letterale del dato normativa dal quale si evince come l’utilizzo della autovettura possa riferirsi “ad uno o più componenti” della famiglia e contro la nozione giuridica di comproprietà e di compossesso, non essendo revocabile in dubbio che ciascun comunista o compossessore sia titolare dei pieni poteri di godimento del bene in comunione indivisa o del bene comune.

Non appare dirimente in contrario la affermazione del Tribunale secondo cui tale conclusione risulterebbe “irrazionale e discriminatoria” in quanto “il compossesso o la comproprietà….anche in minima od irrisoria percentuale …non avrebbe alcuna significatività quale generale indice di agiatezza”, atteso che, qualora il Tribunale avesse inteso contestare la inadeguatezza della norma e la inidoneità del fatto -proprietà o possesso indiviso, oltre che di quello esclusivo, della vettura con cilindrata superiore a 2.500 cc- selezionato dal regolamento comunale a rappresentare un indicatore di ricchezza, allora appare evidente come la contestazione vada ad incidere sulle scelte discrezionali rimesse alla Amministrazione, sindacabili esclusivamente avanti il Giudice amministrativo (Vedi Corte cass. SU n. 13193/2018 cit .

Occorre aggiungere che sulla interpretazione della norma regolamentare non può poi configurarsi alcun “giudicato interno” in ordine al requisito dell’effettivo utilizzo del veicolo da parte di uno o più componenti del nucleo familiare, tenuto che Il gravane del Comune veniva a fondarsi, in via principale, proprio sulla prospettazione della diversa interpretazione della norma regolamentare, condivisa da questa Corte, alla quale è del tutto estraneo in presenza dell’accertamento della titolarità proprietaria o del possesso, l’ulteriore elemento delle modalità in cui il diritto eminente si atteggi in concreto ovvero delle modalità di utilizzazione, individuale o meno, del veicolo (emerge dalla stessa sentenza di appello -in motivazione pag. 5 e 6- che il Comune, con il motivo di gravame sub lett. B, aveva contestato, infatti, la rilevanza attribuita dal Giudice di Pace ad elementi della fattispecie estranei a quelli considerati dalla norma regolamentare, quali nella specie, il modesto valore di mercato del veicolo e “l’utilizzo asseritamente saltuario dello stesso”).

In conclusione il ricorso trova accoglimento, quanto al secondo motivo, inammissibile ed infondato il primo motivo; la sentenza impugnata deve essere, in conseguenza, cassata senza rinvio, in quanto, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda introduttiva proposta da (omissis).

La novità della questione, essendo intervenuto l’arresto delle Sezioni Unite n. 13193/2018 nelle more del giudizio di legittimità, consente di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio relativamente ai gradi di merito, dovendo liquidarsi a carico della parte soccombente le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.