I comuni e il pasto domestico che si affianca alla ristorazione collettiva

Doveva succedere, ed è successo: il panino fatto in casa ha fatto il suo ingresso a scuola in alternativa al pasto della ristorazione scolastica, quella fornita dal Comune agli istituti statali.

Il fatto ha prodotto rumore perché è accaduto in città dove da decenni è presente un collaudato sistema di ristorazione scolastica.

Non è il caso di quegli istituti, presenti qua e là in giro per il Belpaese, dove il pasto di casa (quello che adesso chiamiamo “domestico”) da tempo viene consumato, nello stesso refettorio, accanto al cibo fornito dalla “mensa scolastica”, senza che nessuno abbia mai trovato da dire. C’è tradizione e tradizione.

Di certo quella del panino “domestico” non è la modalità più idonea per promuovere l’educazione alimentare e alla salute di cui parlano in modo ineccepibile il Ministero della Salute, il Miur e le diverse Linee guida delle Regioni, tanto più dopo la lezione che ci viene da Expo 2015.

Ma d’altronde, nel momento in cui un Tribunale decide che un genitore è libero di scegliere ciò che suo figlio può mangiare a scuola, tutta una parte della pedagogia delle pari opportunità educative, di quanto è importante condividere i valori e i piaceri del crescere insieme, viene messa in soffitta in attesa di tempi migliori.

Nel frattempo, aspettando che la Corte di Cassazione si pronunci definitivamente su quanto prescritto nella sentenza della Corte di Appello di Torino, è intervenuto il Miur, con la circolare n. 348/2017.

Il Ministero raccomanda agli Istituti di assicurare la tutela delle condizioni igienico-sanitarie e il diritto alla salute, consentendo a tutti gli alunni di consumare il pasto negli stessi locali destinati alla refezione scolastica, evitando la possibilità di scambio di alimenti per non correre il rischio di contaminazioni.

L’indicazione data al personale della scuola è di adottare le stesse precauzioni in uso nella somministrazione dei “pasti speciali”.  In effetti, forse l’unico rischio reale è proprio quello che un “pasto domestico” vada a finire sul piatto di un alunno gravemente allergico ad un alimento con il quale quel pasto è stato preparato.

Questa circolare rappresenta un passaggio importante sulla strada del far chiarezza, dopo tanti tentennamenti, su compiti e ruoli del dirigente scolastico rispetto a quelli del Comune o dell’Azienda di ristorazione, e su quanto compete all’Asl.

Tirando le somme rispetto al rapporto del Comune con l’Istituto scolastico: il Comune è responsabile del servizio di ristorazione scolastica e cioè del pasto e delle modalità della sua fornitura agli alunni iscritti a tale servizio e non di cosa e di come mangiano i bambini che si portano appresso il pranzo preparato dai genitori. Tocca al dirigente dell’Istituto decidere le modalità organizzative del consumo dei pasti domestici nel tempo scuola e negli spazi scolastici dedicati al pranzo.

Se a questo proposito vi sono ancora dubbi, è bene rileggersi il Protocollo d’Intesa del 12.9.2000 tra il Ministero della Pubblica Istruzione, l’Associazione Nazionale Comuni d’Italia e le Organizzazioni sindacali. Si tratta di un documento, tuttora vigente, in cui viene ben indicato che è competenza delle Istituzioni scolastiche “l’ordinaria vigilanza e assistenza agli alunni durante la consumazione del pasto, ove occorra, in relazione a specifiche esigenze”. Mentre tutte le attribuzioni in carico al Comune riguardano unicamente i pasti, la loro distribuzione e la predisposizione del refettorio (e non, ad esempio, la sua pulizia) per gli alunni che aderiscono al servizio della “mensa scolastica”.

Pertanto nulla è dovuto dal Comune riguardo a tutto ciò che riguarda i pasti domestici, dalla loro accettazione presso i locali della scuola, alla loro temporanea conservazione in attesa del momento del pranzo, al loro consumo nei tempi e negli spazi della scuola.

Non si tratta, da parte dell’ente locale, di tirarsi indietro nella collaborazione con le scuole e col loro il personale. Più semplicemente non è possibile che il Comune si assuma un compito che non gli compete e che confligge coi principi fondanti della ristorazione scolastica, così come si è realizzata e perfezionata nel tempo tenendo conto dei risultati della ricerca medico-nutrizionale, dell’impiego di alimenti e di menù sempre più adeguati e nella messa in opera delle buone pratiche dell’educazione alla salute e delle pari opportunità educative.

Giovanni Faedi, esperto di sistemi formativi e servizi per l’infanzia, membro della Commissione nazionale Istruzione dell’Anci, già dirigente dei settori Istruzione e Servizi educativi dei comuni di Cesena ed Ancona.