I pasti per gli insegnanti statali devono essere pagati dallo Stato

Sentenza Tar 12 giugno 2010, s.n.   

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 517 del 1995, proposto da:
Borella Anna, Airoldi Renza, Arioldi Giuseppina, Barbagiovanni Marisa, Berardi Giuseppina, Bergamelli Sonia, Bianchi Enrica, Bianchi Laura, Bonacina Maria Liliana, Bragnuolo Rosa, Cadei Anna, Calzi Alessandra, Carrara Adriana, Castelli Maria Luisa, Cattaneo Maddalena, Cerboni Carla Maria, Corvaglia Daniela, Cuomo Antonia Eugenia, D’Aguanno Cesarina, Deleidi Tiziana, Di Martino Angelo Matteo, Di Matteo Maria Michela, Di Matteo Rosalba, Faveri Adriana, Fenili Cinzia, Ferrara Pina Patrizia, Foglieni Nadia, Forlani Gina, Furma Tiziana, Galimberti Elisabetta, Gandolfi Paola, Gavazzi Giovanna, Ghidini Marinella, Ghilardi Norma, Giliberto Susanna, Ingrao Rosa, Ionio Chiara, Iuni Angela, Laugelli Sandra, Leo Maria Rosaria, Locatelli Daniella, Lozza Antonella, Marcolin Rosalba, Mazzoleni Paola, Milani Miriam, Miozza Donatella, Moretti Elena, Nava Lucia, Nicoli Maria Grazia, Nottola Massimo, Ortobelli Lozza Elena, Pesenti Annalisa, Provenza Rossella, Rizzi Cecilia, Rolla Laura, Rolli Luigina, Rota Mariarosa, Scarcia Ada, Sfragaro Angelina, Signorelli Maria Caterina, Soregaroli Annarosa, Spini Ornella, Stracuzzi Carmela, Taffuri Giuseppina, Tavecchi Patrizia, Torelli Antonella, Troia Maria, Vitali Margherita, Zamboni Maria, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Roberto Gorio e Eliana Todeschini, con domicilio eletto presso Roberto Gorio in Brescia, via Moretto, 67;
contro
Comune di Bergamo, rappresentato e difeso dall’avv. Vito Gritti, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Malta, 12;
nei confronti di
Ministero della Pubblica Istruzione e Ministero del Tesoro, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6, presso gli Uffici della stessa;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
del provvedimento del 13 febbraio 1995, con cui la Giunta comunale ha previsto l’imposizione dell’obbligo del pagamento del servizio mensa al personale docente con decorrenza 1.3.1995 e di ogni altro provvedimento presupposto, connesso e consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bergamo;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei Ministeri della Pubblica Istruzione e del Tesoro;
Viste le memorie;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14/05/2009 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
In data 13 febbraio 1995, la Giunta municipale ha autorizzato l’Ufficio Provveditorato a comunicare alle sei direzioni scolastiche del Comune l’obbligo, anche per il personale docente, di pagare il servizio mensa fruito nel prestare assistenza agli alunni durante la refezione, a decorrere dall’1.3.1995.
Ritenendo tale provvedimento lesivo della propria posizione giuridica soggettiva, gli insegnanti odierni ricorrenti hanno impugnato lo stesso, deducendone l’illegittimità per violazione di legge.
Secondo parte ricorrente la disposizione dell’art. 17 della legge 19.3.1993, n. 68 avrebbe riconosciuto, una volta per tutte, il diritto degli insegnati a fruire del servizio di mensa, in quanto anche prestando assistenza nella refezione si svolgerebbe attività educativa. Il provvedimento sarebbe, quindi, in contrasto con tale norma.
Se, invece, si dovesse ritenere che tale norma abbia perso la propria efficacia al 31.12.1993, allora il provvedimento sarebbe comunque viziato, oltre che per incompetenza ed eccesso di potere, in primo luogo per violazione dell’art. 12 del DPR 209/1987. Secondo il Consiglio di Stato, sez. V, del 19.09.1991, infatti, tenuto conto dell’obbligo imposto agli insegnati di prestare servizio di vigilanza ed assistenza agli alunni anche durante il periodo di refezione, essi avrebbero diritto a fruire di pasti gratuiti; ciò a prescindere dalla loro appartenenza ai ruoli statali o degli enti locali.
Si è costituito in giudizio il Comune, eccependo:
– l’inconferenza del richiamato precedente giurisprudenziale, atteso che dopo la pronuncia del 1991 si è succeduta una normativa che, a suon di decreti legge reiterati, ha riconosciuto il rimborso ai comuni delle spese sostenute fino al 31.12.1994;
– l’assenza di ogni disposizione per il periodo successivo, avrebbe attribuito al Comune la facoltà, dall’1.1.1995, di fornire, se lo riteneva, il servizio di mensa gratuito, ma avrebbe fatto venire meno l’obbligo in tal senso, come evidenziato anche dalla circolare del Ministero della Pubblica Istruzione – Provveditorato di Bergamo del 10.2.1995. Anzi probabilmente il fornire tale servizio su base spontanea avrebbe potuto addirittura non essere legittimo, atteso che il personale docente in questione apparteneva al ruolo statale.
Alla camera di consiglio del 12 maggio 1995 la richiesta misura cautelare è stata negata, non ravvisandosi, nel caso di specie, i necessari presupposti.
A seguito di avviso di perenzione hanno sottoscritto la dichiarazione di permanenza dell’interesse alla decisione solo i ricorrenti Fenili Cinzia, Nottola Maurizio, Rizzi Cecilia, Foglieni Nadia, Galimberti Elisabetta, Nicoli Maria Grazia e Ionio Chiara.
In data 9 aprile 2009 il Comune di Bergamo si è costituito in giudizio con nuovo difensore, facendo proprie tutte le difese e le argomentazioni svolte dal precedente difensore.
Alla pubblica udienza del 14 maggio 2009 la causa, su conforme richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Deve preliminarmente essere dato atto che, a seguito di avviso di perenzione, hanno sottoscritto la dichiarazione di permanenza dell’interesse alla decisione solo i ricorrenti Fenili Cinzia, Nottola Maurizio, Rizzi Cecilia, Foglieni Nadia, Galimberti Elisabetta, Nicoli Maria Grazia e Ionio Chiara.
Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato perento nei confronti di tutti gli altri sottoscrittori del medesimo e più precisamente: Borella Anna, Airoldi Renza, Arioldi Giuseppina, Barbagiovanni Marisa, Berardi Giuseppina, Bergamelli Sonia, Bianchi Enrica, Bianchi Laura, Bonacina Maria Liliana, Bragnuolo Rosa, Cadei Anna, Calzi Alessandra, Carrara Adriana, Castelli Maria Luisa, Cattaneo Maddalena, Cerboni Carla Maria, Corvaglia Daniela, Cuomo Antonia Eugenia, D’Aguanno Cesarina, Deleidi Tiziana, Di Martino Angelo Matteo, Di Matteo Maria Michela, Di Matteo Rosalba, Faveri Adriana, Ferrara Pina Patrizia, Forlani Gina, Furma Tiziana, Gandolfi Paola, Gavazzi Giovanna, Ghidini Marinella, Ghilardi Norma, Giliberto Susanna, Ingrao Rosa, Iuni Angela, Laugelli Sandra, Leo Maria Rosaria, Locatelli Daniella, Lozza Antonella, Marcolin Rosalba, Mazzoleni Paola, Milani Miriam, Miozza Donatella, Moretti Elena, Nava Lucia, Ortobelli Lozza Elena, Pesenti Annalisa, Provenza Rossella, Rolla Laura, Rolli Luigina, Rota Mariarosa, Scarcia Ada, Sfragaro Angelina, Signorelli Maria Caterina, Soregaroli Annarosa, Spini Ornella, Stracuzzi Carmela, Taffuri Giuseppina, Tavecchi Patrizia, Torelli Antonella, Troia Maria, Vitali Margherita, Zamboni Maria.
La questione proposta al Collegio con il ricorso in esame attiene alla legittimità del provvedimento con cui il Comune ha richiesto, al personale docente statale, ancorché preposto a funzioni di sorveglianza degli alunni nella fruizione del servizio mensa , il pagamento del relativo servizio mediante l’acquisto di appositi buoni mensa.
Occorre, a tal proposito, dare conto che il D.L. 18 gennaio 1993, n. 8 (ultimo di una serie di decreti legge reiterati nel 1992 e convertito dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, preordinata all’individuazione delle modalità di finanziamento dei bilanci delle amministrazioni provinciali, dei comuni e delle comunità montane per l’anno 1993) ha previsto che “Gli enti locali sono autorizzati a fornire fino al 31 dicembre 1993 il servizio di mensa al personale insegnante dipendente dello Stato o da altri enti nelle scuole nelle quali gli enti stessi provvedono al servizio di mensa per gli alunni.”, potendo poi contare sul rimborso dei relativi costi a gravare sul bilancio dello Stato.
Solo con la legge 14 gennaio 1999, n. 4 (Disposizioni riguardanti il settore universitario e della ricerca scientifica, nonchè il servizio di mensa nelle scuole), però, il legislatore ha tentato una sistemazione organica della precaria situazione correlata alla fruizione del servizio mensa da parte degli insegnanti statali nell’ambito di mense scolastiche di competenza comunale, disponendo: “1. Per l’anno scolastico 1995-1996 e per i mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre 1996, il Ministero dell’interno provvede ad erogare un contributo agli enti locali per le spese sostenute in relazione al servizio di mensa scolastica offerto dal personale insegnante, dipendente dallo Stato o da altri enti. 2…omissis….3. Il Ministero dell’interno provvede anche ad erogare un contributo agli enti locali per l’anno 1997, al fine di assicurare la continuità del servizio di mensa per il personale insegnante, dipendente dallo Stato, impegnato nella vigilanza ed assistenza degli alunni durante la refezione scolastica. …omissis…4. I criteri per la individuazione del personale docente avente diritto al servizio di mensa gratuito e le modalità di erogazione del contributo statale a favore degli enti locali che abbiano fornito il predetto servizio sono quelli previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri del tesoro e dell’interno, del 16 maggio 1996 , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 224 del 24 settembre 1996. 5. A decorrere dall’anno 1998, agli oneri derivanti dal servizio di mensa di cui al comma 3, si provvede con le disponibilità finanziarie destinate alla contrattazione collettiva per il comparto del personale della scuola.”.
Tutto ciò premesso al fine di un migliore inquadramento della vicenda, occorre altresì precisare che nessuna delle parti ha dato conto di cosa sia avvenuto nel periodo successivo al 1.3.1995 e, quindi, se al provvedimento, la sospensione della cui efficacia è stata negata, sia stata data esecuzione o, al contrario, gli insegnanti abbiano continuato a fruire gratuitamente del servizio mensa e il Comune abbia poi chiesto e ottenuto il relativo rimborso; circostanze, queste, il cui accertamento potrebbe influire sulla effettiva sussistenza di un interesse delle parti alla pronuncia.
Si può, peraltro, prescindere dall’esaminare in concreto tale questione pregiudiziale, atteso che il Collegio ravvisa l’infondatezza del ricorso.
Il provvedimento impugnato dispone il contestato pagamento del servizio a decorrere dall’1 marzo 1995 e quindi per un periodo successivo alla scadenza del 31.12.1993 fino alla quale il legislatore aveva autorizzato l’erogazione del servizio gratuito da parte del Comune.
La particolare costruzione del D.L. 8/93, invocato da parte ricorrente, volto a sanare situazioni già verificatesi, prevedendo l’erogazione ai Comuni delle somme necessarie alla copertura dei costi dagli stessi sostenuti sino al 31.12.1993 e ad “autorizzare” lo svolgimento del servizio sino al 31.12.1993, lascia intendere piuttosto chiaramente la volontà del legislatore di escludere la sussistenza di un obbligo, in capo ai Comuni, a decorrere dalla data del 31.12.1993, di fornire gratuitamente il servizio di mensa agli insegnanti. Quella che viene riconosciuta dalla norma successivamente a tale scadenza è solo la “possibilità” per il Comune di accollarsi l’onere della refezione, peraltro senza avere certezza alcuna, in assenza di quell’accordo tra Stato e Enti locali che era ancora lontano da venire, di ottenere il recupero delle somme, con conseguenti difficoltà anche in termini di bilancio e rispetto della normativa sulla spesa pubblica.
Il dato letterale della norma che è assolutamente chiaro ed inequivocabile (in quanto obbliga i Comuni a fornire la mensa gratuita al personale che svolge assistenza educativa nel tempo dedicato alla mensa solo fino al 31.12.1992) e lascia trasparire il proprio carattere di norma destinata a disciplinare, in via eccezionale, solo uno specifico periodo, porta, quindi e contrariamente all’assunto di parte ricorrente, ad escludere ogni successiva sopravvivenza della disposizione, anche semplicemente in termini di riconoscimento di un principio: anzi, proprio dalla puntuale delimitazione del periodo di riferimento si può inferire come l’art. 17 non abbia affermato un principio generale, ma al contrario disciplinato in modo eccezionale e transitorio la particolare situazione ingeneratasi.
Ciò appare confermato anche dalla legge n. 4/99 che, andando a sanare la situazione relativa agli anni dal 1995 al 1998, presuppone proprio il vuoto normativo per quegli anni.
Né può ritenersi che sussistendo tale carenza di disciplina, si potesse comunque far discendere dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi nel 1991 l’affermazione di un principio generale cui il Comune avrebbe dovuto uniformarsi in quanto tenuto, in ragione di esso, a fornire gratuitamente il servizio mensa al personale docente statale.
A sostegno della non conformità all’ordinamento di provvedimenti di tal fatta, infatti, parte ricorrente invoca la sentenza del Consiglio di Stato n. 1177 del 19 settembre 1991, con la quale è stato affermato che il personale docente statale ha diritto al servizio mensa come i dipendenti comunali, se e in quanto preposto alla sorveglianza degli alunni.
La sentenza è intervenuta e si riferisce a fatti risalenti ad un periodo caratterizzato dal vuoto normativo rispetto alla fattispecie, solo successivamente colmato, come si vedrà nel prosieguo, dall’adozione di appositi decreti legge che espressamente hanno disposto il rimborso del costo dei pasti a favore dei Comuni che avessero provveduto, negli anni precedenti, ad erogare gli stessi a favore del personale docente statale.
Nella sentenza invocata , inoltre, si dà espressamente conto di come oggetto della decisione fosse, in quell’occasione, esclusivamente la sussistenza del diritto dei docenti a fruire gratuitamente del pasto e non anche lo stabilire se gli oneri connessi dovessero gravare sul Comune, in quanto competente alla gestione del servizio di assistenza scolastica a seguito del DPR 616/77; semplicemente con la pronuncia in parola il Consiglio di Stato ha escluso che potesse essere fatto ricadere sugli insegnanti – soggetti che non disponevano degli interessi in gioco, destinatari vincolati di scelte concordate – la mancata stipulazione, seppur prevista e programmata, di quell’accordo tra Stato e Comuni che avrebbe dovuto regolare i rapporti finanziari relativi alla ripartizione degli oneri derivanti dalla prestazione del servizio di mensa gratuita a favore degli insegnanti addetti alla sorveglianza durante la refezione.
Invero i ricorrenti di allora facevano leva sulla disparità di trattamento conseguente al mancato recepimento, nel CCNL degli insegnati statali di quanto disposto dall’art. 68 del DPR n. 87/1978 prevedendo la gratuità del servizio mensa per gli insegnanti dipendenti degli Enti locali; l’art. 12 del D.P.R. 209/87 (CCNL insegnati statali) si limita, infatti, a considerare prestazione lavorativa il tempo di permanenza presso la mensa insieme agli alunni.
Tenuto conto di tale particolare situazione e dell’ormai consolidata tesi secondo cui anche la presenza durante l’attività di refezione rientra a pieno titolo nell’attività di formazione ed è quindi equiparabile ad attività lavorativa a tutti gli effetti, il Consiglio di Stato ne traeva, quindi, la conclusione della gratuità del servizio mensa degli insegnanti statali, così come previsto espressamente per quelli dipendenti dagli enti locali, a prescindere da quale fosse il soggetto tenuto ad accollarsene il relativo costo (problema che avrebbe dovuto risolvere il raggiungimento di un’intesa tra Stato ed Enti locali, che, come dimostrerà la storia, era ben al di là da venire).
La decisione n. 1177/91 non convince, però, sotto più profili. In primo luogo dedurre il principio di gratuità della fruizione del servizio di mensa dalla circostanza che essa è contestuale allo svolgimento di una prestazione lavorativa nel corso del servizio appare discutibile sia sotto il piano logico ed interpretativo che sotto quello dell’applicazione dei principi in materia giuslavoristica.
Sono moltissimi gli esempi, nel mondo del lavoro privato, così come in quello pubblico, in cui lo svolgimento della pausa ricreativa (la c.d. pausa caffè, oppure il tempo necessario alla consumazione del pasto da parte di soggetti “turnisti”) rientra a pieno titolo nel periodo di attività lavorativa retribuita, ma ciò non sta automaticamente a significare che anche quanto viene consumato durante la pausa debba essere gratuitamente fornito. Invero la refezione gratuita rappresenta un’eccezione prevista dai contratti collettivi di lavoro di categoria.
Peraltro anche volendo considerare la fruizione gratuita del pasto come un elemento retributivo, nessun principio impone, nel diritto del lavoro, l’uguaglianza tra lavoratori dipendenti di datori di lavoro diversi e comunque assoggettati a contratti collettivi diversi. L’estensione della gratuità dei pasti prevista per i dipendenti comunali anche agli insegnanti statali appare, quindi, priva di un reale fondamento giuridico, tanto più che il Consiglio di Stato non si è in nessun modo soffermato ad effettuare una comparazione complessiva del trattamento retributivo delle due categorie di lavoratori, né ha tenuto conto che, ancorché diverso, il regime retributivo deve essere rapportato alle prestazioni effettivamente richieste ed alle condizioni di lavoro complessivamente imposte al lavoratore assoggettato ad un diverso contratto collettivo nazionale.
Ne discende l’impossibilità di dedurre dall’ordinamento una principio generale di gratuità della fruizione dei pasti da parte degli insegnanti addetti alla sorveglianza nel periodo della refezione, la quale appare confermata anche dai successivi interventi del legislatore di cui si è già dato conto.
In sintesi il riconoscimento di un tale principio finirebbe per gravare sulle finanze comunali senza un reale fondamento giuridico, tanto più se si considera che il costo di ogni attività formativa (e quindi anche dell’assistenza alla refezione che a tale categoria viene ricondotta) deve essere posto a carico dello Stato, gravando sull’ente locale la sola gestione dei servizi di assistenza scolastica (e cioè, per quanto ci riguarda, la messa a disposizione del servizio di mensa a fronte della corresponsione, da parte dei fruitori di un apposito “buono pasto”.
Ne consegue che la rivendicazione degli insegnanti avrebbero dovuto più propriamente assumere la veste di una controversia (eventualmente anche sul piano sindacale) contro lo Stato-datore di lavoro e non anche di un ricorso demolitorio di un provvedimento comunale che si è limitato a prendere atto della carenza di una disposizione nell’ordinamento che attribuisse al personale insegnante statale il diritto alla fruizione gratuita della mensa con conseguente garanzia di recupero dei costi da parte del Comune, al pari di quanto diversamente garantito dal CCNL per i dipendenti degli enti locali.
Sussistono peraltro giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio, attesa la natura della controversia e la particolarità della stessa, connessa ad una disciplina chiaramente lacunosa a lungo resa inoperante dalla mancanza di accordo tra Stato ed Enti locali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, dichiara perento il ricorso, ai sensi dell’art. 9 2° c. della L. 21.7.2000 n. 205, nei confronti dei ricorrenti: Borella Anna, Airoldi Renza, Arioldi Giuseppina, Barbagiovanni Marisa, Berardi Giuseppina, Bergamelli Sonia, Bianchi Enrica, Bianchi Laura, Bonacina Maria Liliana, Bragnuolo Rosa, Cadei Anna, Calzi Alessandra, Carrara Adriana, Castelli Maria Luisa, Cattaneo Maddalena, Cerboni Carla Maria, Corvaglia Daniela, Cuomo Antonia Eugenia, D’Aguanno Cesarina, Deleidi Tiziana, Di Martino Angelo Matteo, Di Matteo Maria Michela, Di Matteo Rosalba, Faveri Adriana, Ferrara Pina Patrizia, Forlani Gina, Furma Tiziana, Gandolfi Paola, Gavazzi Giovanna, Ghidini Marinella, Ghilardi Norma, Giliberto Susanna, Ingrao Rosa, Iuni Angela, Laugelli Sandra, Leo Maria Rosaria, Locatelli Daniella, Lozza Antonella, Marcolin Rosalba, Mazzoleni Paola, Milani Miriam, Miozza Donatella, Moretti Elena, Nava Lucia, Ortobelli Lozza Elena, Pesenti Annalisa, Provenza Rossella, Rolla Laura, Rolli Luigina, Rota Mariarosa, Scarcia Ada, Sfragaro Angelina, Signorelli Maria Caterina, Soregaroli Annarosa, Spini Ornella, Stracuzzi Carmela, Taffuri Giuseppina, Tavecchi Patrizia, Torelli Antonella, Troia Maria, Vitali Margherita, Zamboni Maria; lo respinge in relazione ai rimanenti ricorrenti.
Dispone la compensazione delle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14/05/2009 con l’intervento dei Magistrati:
Sergio Conti, Presidente
Stefano Tenca, Primo Referendario
Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/06/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO